Chi è stato grande per davvero lascia nel cuore di chi
lo ha amato ricordi di luce.
Te ne accorgi mentre senti Damiano parlare di Peppino.
Sorride, s’accora, a quando s’addolora, poi torna ad
illuminarsi con la pura felicità di un bambino.
“Per me è stato
un secondo padre. Ha creduto in me, mi ha sempre esortato a dipingere e a
scrivere. Sempre. Eppoi, aveva una gentilezza ed una nobiltà d’animo che oggi
non esistono più” quasi con pudore sussurra.
E si sbraccia per rendere la sua gioia di figlio d’arte
e sfoglia fotografie persino in bianco e nero, pagine di preziosi libri di
poesie e fogli vergati dalla mano sicura di Peppino.
Memoria di una Bitonto perduta, vien fatto di pensare,
che però respira ancora fra i vicoli e le corti di questa città spesso ingrata
nei confronti dei suoi figli migliori.
Allora, Damiano
Bove è pittore e poeta ed il suo papà artistico era il professor Peppino Moretti, scomparso un anno fa.
Bove dipinge tele – “vi prego, non chiamatele opere, sarebbe troppo” – d’intimistica
ispirazione e scioglie versi un po’ con la voce dell’anima, il dialetto, un po’
in lingua italiana.
Seguendo sempre il solco tracciato dal suo mentore, il
prof. Moretti.
“Vorrei che
fosse ricordato con gioia dai suoi concittadini perché era un grandissimo. Perché,
per esempio, non diamo vita alla “Festa delle campane”. Il professore scrisse
una raccolta splendida di poesie, “Re cambèun de Vetònd”, che io volli venisse
recitata nella suggestiva parrocchia di San Silvestro, che oggi purtroppo è chiusa”.
Sì, sarebbe bellissimo se si scegliesse un giorno dell’anno
ed un’ora ben precisa in cui tutte le chiese, pure quelle ormai mute,
cominciassero ad inondare la città dei rintocchi argentini delle loro campane…
“A proposito,
guardate cosa mi scrisse dopo quella serata. Una lettera di una finezza ormai
introvabile. “E’ giusto che le mie poesie vengano lette dal popolo perché i
miei sono versi del popolo”. Un autentico testamento spirituale” e Damiano
s’emoziona con una soavità lieve che non sappiamo ridire.
“Il professore
era molto amico di Francesco Speranza,
altro maestro inarrivabile, passeggiavano insieme sul lungomare della marina di
Santo Spirito. Perché non realizzare al cimitero una stele che ricordi anche
Moretti, magari accanto a quella del maestro?”.
Bove sospira un attimo e chiude piano gli occhi.
Poi, estrae da una cartellina una poesia in vernacolo
dedicata alla sua guida spirituale.
Si parla di viaggio e incanto, sinfonia e paradiso.
Tutto quello che per lui ha rappresentato Peppino
Moretti.
La legge con voce tremante e, senza che se ne accorga,
sul far della sera s’ode un dolce scampanio lontano.
Che non
si leva da quaggiù…