Colonna de “La
Gazzetta del Mezzogiorno”, penna di punta per il settore “Esteri” della
stessa testata, consigliere dell’Ordine
dei Giornalisti per ben 27 anni.
Ecco l’identikit di Pasquale
Tempesta. Sessant’anni dedicati al giornalismo per il nostro concittadino a
cui, in occasione di questo traguardo, è stato dedicato il convegno “Giornalismo
ieri, oggi e domani”, organizzato dal Comune di Bitonto in collaborazione con le testate “da
BITONTO” e “Primo Piano”.
«Si
tratta di una riflessione sui cambiamenti del modo di fare giornalismo e sul
ruolo dei giornalisti» ha spiegato il vicesindaco Rosa Calò a
inizio serata.
Oltre al “festeggiato”, ieri sul palco del Teatro Traetta, ad interrogarsi sull’argomento,
anche il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Valentino Losito, e l’ex direttore de “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Lino Patruno.
«Nei giorni scorsi ho pensato che nulla accade per caso –
ha dichiarato il presidente – Quest’evento
si tiene a pochi giorni dalla scomparsa di Franceschino
Amendolagine». Lo storico direttore del “da BITONTO” è stato ricordato
come colui che «viveva e scriveva la
storia» e come autore di «un’operazione
ricca di valore».
«Con
la morte di Franceschino si è conclusa una fase, come già sottolineato qualche
anno fa con il passaggio del testimone e con l’approdo del “da BITONTO” sul web» ha
concluso Losito.
Ma la fase di Franco Amendolagine è anche quella di Pasquale
Tempesta.
«Il mondo del giornalismo è profondamente cambiato» ha
ammesso la colonna de “La Gazzetta”, raccontando la nascita di questa sua
passione, perché «il giornalismo più che
un lavoro è una malattia».
«Mi
laureai, mi iscrissi all’Ordine degli Avvocati e passai anche il concorso da
magistrato. Ma un giorno Oronzo
Valentini (che sarebbe diventato il secondo dei miei dieci direttori) mi
chiamò e mi chiese cosa volessi fare. Avevo fatto cause, anche vittoriose, ma
non ebbi dubbi: risposi “Voglio fare il giornalista”».
Ecco dunque i primi passi in Gazzetta, tra articoli
scritti con penna e calamaio, con la biro, dopo la prima rivoluzione, e i primi
approcci nel 1950 con la telescrivente che da Roma trasmetteva poche notizie al
giornale di Bari. Il telefono non c’era o era poco usato e gli articoli
arrivavano tramite lettere “fuori sacco”.
Dalla linotype si è passati oggi al web, grazie al quale siamo“giornalisti di noi stessi”. «La notizia dello tsunami, ad esempio, ci è
arrivata tramite i racconti e i video di chi ha vissuto quella tragedia. Non
abbiamo foto di fotoreporter» ha ricordato. Per questo i giornali cartacei
sono chiamati ad una trasformazione: non devono più dare notizie ma
commentarle.
Dello stesso avviso anche il suo allievo Lino Patruno che
ha condannato il giornalismo piegato alle logiche della popolazione ignorante. «Dalle 5W si è passati alle 5S: sesso,
scandalo, soldi, sport e spettacolo. I giornali attirano così i lettori che non
ci sono. Non è un caso che i giornali più venduti siano quelli schierati
politicamente».
«Chiunque
può fare il giornalista grazie ad un cellulare –
ha continuato –. Salvo pochi inviati temerari,
anche le guerre ora si seguono solo grazie ai social e alle notizie delle
popolazioni coinvolte. Al giornale arrivano foto e testo e bisogna scegliere se
pubblicarli o no. Non c’è tempo per verificare».
A risentirne quindi è la qualità dell’informazione. Come
recuperarla allora?
L’Ordine non potrebbe pensare ad una formazione seria dei
giornalisti, anche per quanto riguarda la deontologia, o non potrebbe rivedere
la modalità di accesso per i pubblicisti, per cui è richiesta solo la firma di
60 articoli? È la domanda dalla platea del giornalista professionista Michele Cotugno Depalma.
«La
divisione tra professionisti e pubblicisti è antistorica – è
il pensiero di Valentino Losito -. La
formazione dovrebbe essere la torta, non la ciliegina. Per me, dovrebbero avere
accesso alla professione solo i laureati, ma è altrettanto vero che il vero
mestiere si impara in bottega. La deontologia è la legge morale in noi e non c’è
un manuale che la insegni».
A richiamare quindi ogni giornalista alla responsabilità
sono le parole non di un giornalista, ma di un maestro di scuola e vita: Giuseppe Tempesta, padre di Pasquale.
È stato proprio suo figlio a declamare a fine serata le
sue parole: “Non sono possibili la
creazione e la divulgazione di una nuova e vera civiltà, la bonifica del
pensiero e del costume, se la stampa non diventa degna, in tutti i suoi
settori, della sua altissima missione, se non rispetterà la sua altissima dignità,
giacché essa esercita, nella sua incessante azione, opera di educatore, di
medico, di giudice, di sacerdote”.