Sembra semplice parlare d’amore. Tanto che (quasi) tutti ne parlano senza analizzare nel profondo le sue origini, le sue condizioni, le sue conseguenze. Affascinati solo dall’idea romantica del sentimento amoroso, si finisce per svilire la sua complessità, non nel senso di difficoltà, ma indicando con essa un complesso di fenomenologie e sintomatologie pertinenti e connaturate all’essere umano.
A questo aspetto dell’amore, forse più scientifico e tecnico, si è dedicata Vera Slepoj, psicologa e psicoterapeuta, Presidente della Federazione Italiana Psicologi dal 1989 e militante nell’ambito delle politiche a favore dell’attivazione delle scuole di psicoterapia in Italia. Con il libro “Psicologia dell’amore”, edito per la prima volta nel 2015 da Mondadori, tenta di svelare l’origine (anche storica) dei meccanismi alla base del sistema di relazioni affettive che caratterizza la società contemporanea.
Il suo non è solo un romanzo, somiglia più per certi versi ad un trattato, di cui la scrittrice consiglia una lettura scevra da pregiudizi e convinzioni maschiliste o femministe. Anzi il libro nasce come uno strumento per consentire al lettore di mettersi di fronte all’amore e non solo di esservi coinvolto, travolto e/o stravolto; non vi si troveranno ricette o vademecum utili o incontrare la propria anima gemella, ma la descrizione a titolo esemplare di situazioni ed episodi verificatisi realmente, che possano avere una forte incidenza sulla concezione comune dell’amore e delle sue manifestazioni.
Capitolo per capitolo, l’autrice mette a nudo i pensieri che spesso si ritiene siano “solo nostri” e li trasferisce in una dimensione collettiva e sgretola l’equazione che ad oggi qualifica, o meglio squalifica, la maggior parte delle relazioni: l’amore come autocompiacimento e mezzo per ottenere una felicità tutta egoistica; il vero amore è quello che si disseta della felicità dell’altro, nel modo più disinteressato possibile. Vera Slepoj non assicura che sia semplice giungere ad un tale livello di maturità emotiva, ma almeno segnala un obiettivo.
Ad un capitolo di taglio prettamente storicistico, in cui si assiste ad un progressivo mutamento degli strumenti e dei modi dell’espressione amorosa dalle antiche civiltà greche ai giorni nostri, ne segue uno che ritrae gli uomini in preda all’istinto passionale, che funziona a volte distruggendoli, altre volte rendendoli esaltati a seconda delle situazioni e delle circostanze in cui avvengono gli incontri. Risultano ancora più attuali alcune pagine successive, in cui – da psicologa – l’autrice cerca di rintracciare, aiutandosi con teorie filosofiche già note, l’origine dei comportamenti anomali che molti adolescenti e adulti mostrano avere nelle relazioni. Si scopre, cioè si accerta, che quasi tutte le difficoltà di gestione di un legame a due rappresentino la naturale continuazione di un rapporto simbiotico irrisolto nel passato, come ad esempio quello con il genitore; un aspetto, questo, che rientra nell’ambito del concetto dell’incapacità di amare come patologia. La stessa mancanza di tempo, con la quale si giustifica l’abbandono precoce dei piccoli al nido, sarebbe vissuta in maniera latente come un trauma che il bambino, crescendo, nasconde nella sua intimità psicologica e manifesta anni dopo con una certa riluttanza ai legami stabili o a tempo indeterminato o, ancora peggio, con una aggressività verso chi tenta di instaurare un rapporto regolare con lui.
Tutti questi fattori, moltiplicandosi nel tempo, hanno condizionato il cambiamento della società e il modo di pensare all’altro, oggi visto come un impegno piuttosto che come un valore aggiunto alla vita individuale. A ragion veduta questo libro sembra parlare di un tempo fuori dal tempo: del tempo dell’amore, escluso
dallo schema in cui incaselliamo la nostra esistenza. Vera Slepoj, toccando e smuovendo i fili della trama emotiva dei lettori, cerca di ricollocare nella vita dell’uomo il fenomeno amoroso, teorizzando una nuova equazione che porti a convivere con l’altro in modo sano, rispettando le sue diversità, le sue distanze, le sue esigenze, i suoi modi di essere e di creare senza aspettarsi nulla in cambio.
Amare, sembra assurdo, diventa sinonimo di dare, non già di ricevere, e solo nell’offerta di sé e del proprio tempo, del proprio ascolto, risiede l’autenticità di ciò che siamo e di come amiamo.