«Mi
chiamavano l’eretico».
La serata parte con un’affermazione, che pare bizzarra o quanto
meno inusuale, pronunciata da un teologo, biblista e cattolico dell’Ordine dei
Servi di Maria.
È l’autoritratto di don
Alberto Maggi, ospite a Bitonto presso la Fondazione Santi Medici lo scorso 11 novembre per presentare il suo
nuovo libro “Chi non muore si rivede”.
Proprio l’11 novembre, del resto, si festeggia san Martino protettore delle cure
palliative – verso le quali c’è ancora un preconcetto, spesso ritenute inutili – di cui l’Hospice“Aurelio Marena” si occupa da otto anni all’interno del territorio bitontino.
«Dobbiamo
recuperare l’accezione positiva del termine palliativo –
apre don Ciccio Savino, rettore della Basilica -: pallium in latino significa mantello, quindi un abbraccio verso il
malato, verso la famiglia che non viene mai lasciata sola».
Ma non sempre il percorso finisce. E così, come nel
caso di Maggi, ci si può rivedere.
«Le medicine curano, ma l’amore guarisce.
Il mio libro si può riassumere così», sentenzia ancora don
Alberto.
«Era
il 9 aprile 2012, lunedì dell’Angelo quando sentii un dolore al petto, pensai
subito fosse un infarto – prende a raccontare -. Più tardi venni a sapere che si trattava di
una diserzione dell’aorta. Cambiai l’ambulanza e il trasbordo da una all’altra
avvenne nei pressi di un cimitero e mi chiesi: “Caspita, sono già arrivato?”.
In realtà cominciarono così i miei 75 giorni di degenza in ospedale: ben tre
interventi, lottando tra la vita e la morte».
Un respiro faticoso, la vista annebbiata: «Pensai di morire nel tragitto in ospedale – racconta ancora – ma ostentai un sorriso perché pensai che chi mi avesse visto doveva
pensare che me ne ero andato sorridendo. Una morte serena, come un ultimo
regalo».
«Su
un foglietto scelsi le modalità e le letture da fare al mio funerale compresa l’indicazione
per la bara: dovevano portarla gli addetti alle pompe funebri via, gli altri
dovevano restare in convento a fare festa».
E riprende proprio san Francesco d’Assisi, quando
appella la morte come una sorella e non come una madre matrigna: «Non si muore mai – commenta – si nasce due volte e la seconda volta è per
sempre. Muore la parte biologica, non certo la nostra anima, la nostra
interiorità».
La degenza per padre Maggi mista al dolore è stata
ricca anche di esperienze particolari narrate nelle pagine del libro.
«C’era
un flusso di medici, infermieri, cantavo con la signora delle pulizie: venivano
a caricare le batterie. Spesso non ci rendiamo conto che la felicità non dipende dagli avvenimenti quotidiani ma dell’esperienza
di essere amati sempre e comunque».
Dopo il primo intervento, al controllo della tac le
coronarie risultarono ostruite: «Affrontai
anche un ulteriore intervento e al risveglio c’era l’infermiera che mi
accarezzava il capo: l’amore di quel gesto era più forte di tutti gli
antidolorifici».
In questi giorni di lotta, sorrisi, ma anche
battibecchi per poter avere senza noie l’eucarestia (“Io – dice Maggi – ero quello
che dava la comunione anche ai divorziati e agli omosessuali durante le
celebrazioni”), accade anche un altro evento poco felice, la
mamma di Alberto muore: «Ero in ospedale
senza possibilità di darle un ultimo abbraccio e questo fu davvero straziante.
Nei giorni successivi, poi, mi diagnosticarono un carcinoma: trascorse un mese e
non passai a ritirare il referto. Il medico, stupito, mi disse che era la prima
volta che qualcuno scordava di tornare in ospedale per i risultati».
È nei momenti più difficili che il Signore si
manifesta: «La morte – conclude don
Alberto Maggi – , se vissuta bene, con
sorriso e serenità, ci fa scoprire un Padre che in qualunque situazione della
vita ci sussurra “Non ti preoccupare,
fidati di me”».