“A Bitonto bevemmo l’acqua dalla colonna della Vergine tutta tubante di colombi”. Messa così dice poco e dice tanto.
Ci sono ipoteticamente due o più persone che, nella Bitonto che fu -siamo a metà ‘900-, sostano in un momento di pausa.
L’acqua. La colonna (quale, poi?). Intanto tubano i colombi.
Pausa di un viaggio? Viaggio di chi? Soprattutto: chi parla, chi scrive?
La realtà è che le cose capitano. Capitano per caso.
Così, Nicola Vacca, amico letterato e poeta, collaboratore di riviste e quotidiani, torna (sul social più famoso, Fb, cui prova diuturnamente a offrire una facies letteraria e culturale) su un libro di qualche anno fa, “Finibusterre”, di Franco Antonicelli (edizioni Besa).
Titolo dal pretto, evocativo sapore salentino. Di quel Salento profondo, dove finisce la terra e inizia il mare senza confini, dove t’immergi nel grande spazio mediterraneo che ci è stato donato.
Leggi e apprendi che Franco Antonicelli, intellettuale e politico italiano, attivo durante la Resistenza, torinese per vita e studi ma nato a Voghera, nel 1954 ripercorre le sue origini pugliesi (famiglia paterna di Gioia del Colle), in occasione della Settimana Einaudi, svoltasi quell’anno a Bari e a Lecce.
Antonicelli non è solo. Con lui c’è un importante uomo vicino alla Einaudi, uno scrittore che tutto il mondo ha invidiato all’Italia, spirito libero e indipendente, inventore di uno stile coerente e tutto suo, grande intercettore dell’uomo nei suoi spazi più reconditi e immaginari, con costante occhio critico sulla contemporaneità.
Sì, Italo Calvino. Il futuro scrittore di “Marcovaldo” segue Antonicelli in questa strada a ritroso verso gli avi. Lo segue in alcune delle più importanti città pugliesi. Un viaggio tra paesi con storia e arte da ammirare e raccontare.
Tra questi, sorpresa delle sorprese (almeno per lo scrivente), anche la nostra Bitonto. Non per la storia e l’arte, va da sé, ma per la presenza, seppur fugace, di Calvino in città.
Ci è bastato ordinare il libro dal sempre disponibile Gianluca Rossiello per accorgerci della citazione bitontina di Antonicelli, di cui già avevamo avuto il sentore, l’attesa, la speranza. Citazione breve, ma comunque emozionante.
Un po’ temevamo: ma vuoi che non l’avremmo già saputo? Vuoi che non se ne sarebbe mai parlato? Ma sicuramente. Sarà ignoranza nostra.
Insomma: chi vi rassegna questa piccola e grande personale sorpresa nulla sapeva. E se ne è lasciato emozionare.
Qui vi racconta tutto, non mettendo in dubbio che qualcuno possa già sapere.
A darci conferma uno, per la verità, c’è stato: Nicola Pice, che abbiamo contattato nella paura di far gaffe.
Chissà, abbiam pensato un attimo. Non sarà che l’Antonicelli possa essersi confuso con le tre città dal nome quasi simile, almeno al principio: Bitetto, Bitritto, Binetto (quest’ultima, tra l’altro, con differente etimologia)?
Poi però pensi che Bitonto, obiettivamente -sia detto con rispetto-, qualcosa di più offre, a livello storico e artistico, rispetto ai tre bei paesi citati e in questo modo ti spieghi la presenza nell’itinerario dei due intellettuali.
E così è bello apprendere come anche Italo Calvino, prima di Salvatore Quasimodo e appena dopo Guido Piovene, solcò le nostre difficili e complesse zolle. Invitato per un incontro il poeta premio Nobel di Modica, qui per il suo “Viaggio in Italia” lo scrittore e giornalista vicentino.
Calvino fu a Bitonto, probabilmente, per il veloce spazio di un tardo pomeriggio. Siamo tra fine giugno e inizio luglio, fa caldo, caldo “torrido” e i due letterati si fermano alla piccola fonte allora collocata presso l’obelisco mariano di piazza Cattedrale. Non ci è dato sapere di più.
Si fermarono qui per la notte? Pranzarono, cenarono?
Chi ne sa di più è già qui a scrivere con chi firma.
La Bitonto del 1954 non brillava forse in igiene e dove beveva l’uomo, beveva anche l’avifauna improvvisa e consueta di una cittadina assolata del Mezzogiorno. Ecco allora i colombi che tubano al piccolo luogo di ristoro, una fontanina che i più ricorderanno.
Intelligente davvero la scelta editoriale, nel 1999, della Besa di ripubblicare il breve saggio-racconto di Antonicelli, con un inedito in appendice proprio di Calvino (che non cita Bitonto, ricorda soprattutto gli uomini di cultura pugliesi), entusiasta di raggiungere un Sud di cui sentiva la fascinazione anche grazie a poeti come il leccese Vittorio Bodini e letterati e artisti come Carlo Levi, torinese innamorato della Lucania e delle boschive e rugose terre del silenzio, confinato durante gli anni del regime fascista prima a Grassano e poi ad Aliano (Matera).
Calvino era invece di origine ligure da parte paterna, ma nato a Cuba.
Calvino cita anche la casa editrice barese dei Laterza, l’avellinese meridionalista Guido Dorso, gli altamurani Tommaso e Vittore Fiore (quest’ultimo in realtà nato nel Salento e morto a Capurso), il poeta contadino Rocco Scotellaro, lucano di Tricarico.
Erano, quelli, gli anni in cui lo scrittore, giovane trentunenne, preparava la curatela delle sue celebri “Fiabe italiane”, proprio per Einaudi, in cui c’è anche molto profumo di Basilicata e Terra d’Otranto.
Profumo di sole e di un Sud che, forse per pochi intensi attimi, il grande scrittore trovò anche da noi.
Sessant’anni fa, quasi per caso, a Bitonto.
Aggiungi così un dettaglio, un frammento curioso a quel mosaico che è la storia della città, fatta di tanti momenti-tasselli.
Un particolare felice, una presenza di peso, rincuorante.
Molti anni dopo, Calvino ci donerà un celebre passo, in un celebre libro: “Le città invisibili”. Fa pensare alla nostra, di città.
Così lirica e ispirata, così materialista e prosaica; così amabile, così detestabile.
Tutto sta –come sempre nella vita- nel non cedere alla rassegnazione, concedendo fiducia ad attese di segno positivo.
Ecco Calvino: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.