Bitonto
città dei grandi musicisti, si sa e si dice da sempre.
I
nomi, disparati e a seconda poi delle naturali diversità, ruoli e generi, son
tanti: Abbadessa, Traetta, Logroscino, Planelli, Caffarelli, Panisco, Delle
Cese, gli Abbate, Carelli, i Bellezza, La Rotella, De Renzio.
I Bellezza, ecco. Un’iscrizione in piazza Cattedrale, presso la casa di famiglia,
datata 20 agosto 1978, ricorda Nicola e Vincenzo.
Qualche
meritoria pubblicazione e alcuni saggi in occasione di convegni o contributi
per riviste (a livello monografico, citiamo gli studi di Alfredo Giovine e di Nicola Bellezza, nipote del musicista, umanista e storico dell’arte).
Poi,
quasi il silenzio.
È
il momento invece, almeno nel 2014, anno che segna il cinquantenario della
morte, di ricordare la grande figura di Vincenzo Bellezza, eccellente direttore
d’orchestra ai suoi tempi, di fama mondiale.
Tra
i bitontini “illustri”, uno di quelli più famosi e noti a livello
internazionale.
Classe
1888, cominciò a studiare musica grazie al padre Nicola, maestro e istruttore
di bande, altra figura importante dell’empireo musicale bitontino (da non
dimenticare anche il fratello di Vincenzo, Francesco, pure musicista colto e
apprezzato). Studiò violino al conservatorio di Napoli, ma poi anche organo e
pianoforte. Una preparazione accademica.
Dal
conservatorio partenopeo di San Pietro a Maiella, ecco il decisivo salto verso
il San Carlo. A vent’anni dirige già l’Aida di Verdi.
Da
qui, un’attività intensissima: Trieste, Buenos Aires, New York.
Negli
Usa arrivò per diretto interessamento di Enrico Caruso, che lo stimava tanto.
Due i concerti al Metropolitan (marzo 1918) e poi un tour in altre città
americane.
Amico
personale di Pietro Mascagni (ma anche dello scienziato Guglielmo Marconi),
lavorò con Giacomo Puccini, Umberto Giordano (conterraneo di Puglia), Ottorino
Respighi e Richard Strauss (del maestro tedesco diresse “Il cavaliere della rosa”).
Come
si vede, nomi importantissimi. Nomi tra cui il bitontino Bellezza non sfigurava
di certo. Senza tema di smentita, sentiamo forte il dovere civico di
sottolineare come, probabilmente, la città di Bitonto sia in debito di
riconoscenza verso questo suo figlio così grande.
Ci
si creda: non siamo di fronte alla solita e stanca retorica degli “illustri”,
utili a dar “lustro” a una comunità in cerca di posti al sole, orfana magari di
nomi altisonanti. A parte che questo non è comunque il caso di Bitonto,
Bellezza davvero fu musicista e artista di assoluto e prestigioso rilievo.
Ripercorrere
la sua biografia non è facile, tali e tanti i momenti gloriosi: si pensi alla
Manon Lescaut di Puccini al Costanzi di Roma (aprile 1921) o al Falstaff di
Verdi, sempre allo stesso teatro capitolino (noto anche come Teatro
dell’Opera).
Bellezza
lavorò tantissimo in Sud America: non si contano le opere dirette in Argentina
e Brasile. Si ricordi, al Colòn di Buenos Aires e al Massimo di Rio de Janeiro,
il suo Giulietta e Romeo (da Riccardo Zandonai).
Seguì
un fugace ritorno in Italia, al Regio di Parma e poi di nuovo il Colòn: ancora Manon
Lescaut (di Jules Massenet), I Compagnacci (di Primo Riccitelli), Le Furie di
Arlecchino e Nazdah (di Athos Palma).
In
più, opere anche di Respighi. Il maestro lavorò poi a Londra (solo al Covent
Garden almeno cento concerti), Barcellona, Bruxelles, Firenze, Bologna.
Nel
1926, il ritorno al Metropolitan di New York.
Sarà
un trionfo continuo con tante opere rappresentate. Gli storici parlano di un
qualcosa come quattrocentottantasette (preferiamo rendere la cifra in lettere,
per far percepire a noi per primi il valore di questo artista irripetibile)
rappresentazioni.
Ecco
solo alcune, le più celebri: I gioielli della Madonna di Ermanno Wolf-Ferrari; Rigoletto,
Il Trovatore, Aida, Ernani e La Traviata di Verdi; Madama Butterfly e Tosca di
Puccini, con Beniamino Gigli; La Bohème (sempre Puccini e sempre con Gigli);
Lucia di Lammermoor di Donizetti con Ezio Pinza; Cavalleria rusticana di
Mascagni; Pagliacci di Leoncavallo; Il barbiere di Siviglia di Rossini; Norma
di Bellini; Andrea Chénier di Giordano.
Nel
1938 gli sopraggiunse la meritata nomina di accademico di Santa Cecilia e
consigliere a vita. Lavorò da questo momento soprattutto a Roma, fino alla fine degli anni
’50. Fu nominato anche direttore dell’opera italiana al Cairo.
Negli
ultimi tempi della sua faticosa e mai doma esistenza, lavorò e visse a Spoleto,
l’amena città umbra dove già nel 1958, per il genio di Gian Carlo Menotti, era
nato lo storico Festival dei Due Mondi. Nella città dell’antico ducato il suo
ultimo concerto, nel 1963: il Simon Boccanegra di Verdi.
Bellezza
fu anche compositore, soprattutto negli anni napoletani al conservatorio. Il
maestro morì l’8 febbraio del 1964.
Il
18 agosto del 1969, Bitonto lo ricorderà con un busto bronzeo allocato nella
villa comunale, opera dello scultore Graziano Lisi.
Non
è il caso di essere fedeli al ricordo “elvetico”: il cinquantenario dalla morte
sta già quasi passando. Al di là delle date, c’è sempre tempo per ricordare a
dovere Vincenzo Bellezza. Un grande uomo di cultura e arte, un grande
bitontino. Non parliamo, poi, delle ricerche che ancora potrebbero farsi.
Il
suo fondo archivistico, conservato all’Accademia nazionale di Santa Cecilia a
Roma, contiene carteggi, spartiti, volumi vari, forse anche inediti e tanto
materiale fotografico. Fu un dono della vedova, Clarry Bellezza.