Alpi
(albanesi) da un lato. Linee di sabbie adriatiche dall’altro. Per un attimo, il
sogno italiano riappare bello e dolce, nei colori e nelle atmosfere. Poi, ti
rendi conto che sei in terra straniera. Benvenuti a Scutari.
Una strada.
Una famiglia che dribbla un piccolo esercito gracchiante di polli e galline.
Coppiette di vecchi che, in barba all’età, in sprezzo all’inclemente tempo
passato sulle loro vite, si tengono per mano in riva al lago.
E poi il
lago, che segna il confine tra due Paesi: Albania e Montenegro. Una striscia di
un azzurro a metà strada tra l’argentato e il turchese. Pesci saltellanti,
edifici – grazie a Dio in lontananza- in demolizione che, stranamente, non disturbano
la quiete.
Lampioni,
hippies di nuova generazione che fumano erba e ascoltano musica acustica
sdraiati sull’erba. Proseguendo, la zona suburbana: vecchi carri, trainati da
animali curvi su se stessi. Padroni ancora più curvi che si fanno trainare insieme
con le loro vecchie cose.
Bambini a
piedi nudi in mezzo a casupole distrutte, voragini alle pareti e tanti sorrisi.
Odore di burek (pastasfoglia ripiena deliziosa se fumante) al formaggio o alle
verdure, melograni lungo le strade rosse e polverose. Una signora di mezza età
che lascia brillare, col suo sorriso a briglie sciolte, due denti d’oro.
Poi, su, in
alto, la cittadella fortificata. All’ingresso sonnecchia un uomo che si desta
al nostro arrivo solo per sorridersi e farci largo. Atmosfere decadute, il 300
d.C. che rivive silenzioso sotto i nostri passi.
Lì, di
fronte, la distesa sterminata oltre il lago, che si chiama Montenegro. Una
grande valle, tra i Balcani, dove i popoli hanno vissuto anni di tensioni,
divisioni, guerre, violenze.
Adesso, belli più che mai, due ragazzi si baciano, sulla cinta muraria
del castello, sotto un sole caldo. E opaco.