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Home » “Giorni di spasimato amore”. Bitonto incontra Romana Petri nel festival “Del racconto, il film”

“Giorni di spasimato amore”. Bitonto incontra Romana Petri nel festival “Del racconto, il film”

La scrittrice: "Dà soddisfazione scrivere le cose di cui la vità è un po’ avara"

Viviana Minervini by Viviana Minervini
19 Luglio 2014
in Cultura e Spettacolo
“Giorni di spasimato amore”. Bitonto incontra Romana Petri nel festival “Del racconto, il film”
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Torna dopo un mese a far visita nella nostra città, nella graziosa terrazza del Torrione angioino il festival “Del racconto, il film”, diretto dallo scrittore e giornalista Giancarlo Visitilli ed organizzato dalla cooperativa sociale “I Bambini di Truffaut”.

Possono
essere giorni, mesi ma anche tutta la vita quella passata ad avere spasmi
amorosi: “non sento un nodo in gola
ma un cappio”-

Potrebbe essere questa la definizione del sentimento
portato all’esasperazione da parte del protagonista, Antonio, del romanzo “Giorni di spasimato amore” di Romana Petri.

Un uomo che si innamora di Lucia durante la seconda guerra
mondiale al mercato nero: Antonio, a 18 anni,  impazzisce per amore e dinanzi al mare di
Napoli confessa che la sua vita è come la distesa d’acqua dinanzi a lui “un continuo divenire”.

Ma il suo sogno d’amore verso la ragazza
sedicenne dura solo due mesi perché lei muore per una pallottola vagante. Lui
non ci crederà mai e passerà ben due anni in un manicomio.

Vive nell’autoinganno di una grande bugia,
la stessa bugia in cui vivrà successivamente sua moglie, Teresa, che vivrà nel sogno di poter essere amata allo stesso modo
della donna defunta.

«Volevo scrivere un libro sulla maternità – confessa la scrittrice -, ma narro di un amore così forte paragonabile solo a quello che una
madre può provare verso un figlio».

Non mancano i riferimenti artistici. La
rinascita, un momento quasi pasquale, nella rappresentazione di un presepio e
la pietà di Antonio che sorregge il corpicino di Lucia tra le braccia.

«L’amore è una
inclinazione
, non si ama da Homo erectus
–
spiega Romana Petri -, bisogna spostarsi, l’inclinazione è un declivio della
caverna platonica di chi esce dell’io per donarsi all’altro. In questo mi ha
aiutata lo splendido quadri di Leonardo da Vinci “Sant’Anna, la Vergine e
il Bambino con l’agnellino”
dove
c’è la veera rappresentazione dell’inclinazione l’uno sull’altro per amore
».

In realtà l’unico che non si ama è proprio
se stesso.

La madre di Antonio, donna Silvana, prenderà Antonio dalla clinica dove è ricoverato. La
diagnosi? Schizofrenia.

Dicono non sia reattivo alle emozioni, ma
non è così: tutto nasce da un eccesso di sensibilità ed è proprio il mare che
gli sembra mitico, mistico in cui troverà il dolce naufragare dei suoi
pensieri.

Per lui la morte non è un interruttore che
spegne i sentimenti: per Antonio, si può amare chi non c’è più anche nel
futuro.

L’epilogo sarà nella trascrizione dei
telegrammi, di cui il protagonista non si spiega l’utilità: «dà soddisfazione scrivere le cose di cui la
vità è un po’ avara
– conclude la scrittrice -. Chi tende al l’assoluto, verso cui spesso non si arriva, e vive un sentimento
auto mangiante, che ti porta alla consunzione, vive il tempo – fermo dove si
comincia a respirare e contare i respiri dell’amata. Sarà proprio con Lucia che
Antonio vivrà dei giorni di spasimato amore».

Si inserisce nel romanzo anche la figura
di un bambino: per questo la scrittrice si è ispirata a “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders, dove solo i
bambini riescono a guardare gli angeli, e  “Il piccolo principe” di Antoine de
Saint-Exupéry.

La serata si conclude con una frase di Nietzsche
“Noi vogliamo diventare ciò che siamo”, la fatica è essere quello che si è.

 

Ecco a cosa tende Antonio. 

 

 

Tags: bitontoDel Racconto il Filmromana petri
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