Un festival
che ha spento già 5 candeline quello di “Del Racconto, il Film”, diretto dallo scrittore Giancarlo Visitilli ed organizzato dalla cooperativa
sociale “I Bambini di Truffaut”, sbarcato sabato sera a Bitonto.
L’intento è proprio quello di dare lustro ad una città che brama cultura
da sempre.
«Bitonto ha un
rapporto controverso con il cinema – ha aperto il sindaco Michele
Abbaticchio-: abbiamo una sola sala
cinematografica per un territorio molto vasto e ricco di potenzialità. Il soffitto del teatro Traetta crollò proprio
quando cominciarono a proiettare film».
Il legame tra cinema, teatro e letteratura è sempre più forte, dato
soprattutto dai numerosi eventi e ospiti internazionali che hanno dato il loro
contributo alla città.
«Siamo convinti di
poter puntare direttamente al cinema per avere un prezioso tassello in più da
aggiungere alla nostra fame di cultura», ha concluso il primo cittadino.
Lo scorso sabato è stata la giornata della precarietà, anche se è un cancro che ovunque si vive ogni giorno
senza bisogno di celebrazioni.
È emerso proprio questo dal romanzo di Alessandro Garigliano,“Mia moglie e io”, intervistato
dalla giornalista Michela Ventrella.
La precarietà non è solo una
condizione lavorativa di chi vive in contratti a “progetto” dove «in realtà non si progetta un bel niente».
«Il
libro è nato da un momento di depressione – racconta l’autore -, in
questo c’è una base autobiografica ma non ho mai girato cortometraggi con mia
moglie», sorride Alessandro.
Entrambi docenti, i protagonisti –
moglie e marito – hanno delle condizioni di contratti diversi e nella
precarietà c’è proprio l’uomo, che fino alla fine del romanzo non svelerà mai
il suo nome: trasformerà la sua casa in un set cinematografico dove provano a
fare gli attori sulla scena del crimine. Hanno un modo diverso di affrontare la
storia. La moglie finalizza le sue azioni, il marito invece – come suggerisce
la giornalista Ventrella – «pare il
prototipo dell’inetto narrato da Svevoin veste moderna, di chi vive un momento difficile e non riesce ad andare oltre».
Crimini e morte, sembrano leitmotiv per tutti i siciliani – terra d’origine
dello scrittore -. «Al liceo avevo una
frase sulla scrivania che diceva: “Il
pensiero dei siciliani costeggia sempre i cimiteri” – sorride Garigliano -.
La morte rappresenta quel fenomeno di implosione sociale, civile, psicologica,
ma una sfida oltre umana, una delle poche “fedi” con cui riesco a misurarmi.
Non si riesce a contemplare il pensiero della morte».
E aggiunge: «La forza dello scrivere,
come diceva Antonio Moresco, non è un
atto di coraggio ma uno di fragilità».
In un mondo in cui tutto va a rotoli,
in cui tutto è difficile, è ancora la forza dell’amore di una coppia sui
generis – ormai – quella che batte tutto.
«Questo mondo ha bisogno di
raccontare e far conoscere le realtà più umili – afferma con forza Maurizio Lembo, sindacalista CGIL -, la precarietà sta diventando una
condizione di vita e non basta fare leggi e riforme».
E i numeri
sono ancora più preoccupanti: «La Puglia
ha il più basso numero di laureati, il più alto tasso di dispersione e di
sfiduciati – aggiunge il sindacalista -.Non tutti si inventano un’opportunità, sono dotati di fantasia, e la politica
in questo deve dare un grosso aiuto».
Fantasia e
opportunità pare esistano solo nei film, è il caso di Italian Movies, film
proiettato in sala alla presenza dei due attori protagonisti Anita Kravos – reduce dalla
partecipazione al film premio Oscar “La
grande Bellezza” – e Michele
Venitucci – attore di film e fiction “pescato” a Bari dal conterraneo Sergio Rubini.
I due
attori hanno le idee chiare per il futuro prossimo. Anita Kravos sta
partecipando a numerosi cast in Russia, grazie alla sua abilità nel parlare ben
cinque lingue (tra cui sloveno e russo), mentre Michele Venitucci, finita la
serie Tv “Un medico in famiglia” che l’ha visto nei panni di Stefano, ha
in mente percorsi personali tra documentari e viaggi pellegrini in Puglia.
Italian
Movies «è un film di sapore molto europeo– ha commentato patron Visitilli – dal sapore
pugliese grazie alla canzone finale firmata dai Radiodervish».
Un gruppo
di addetti alla pulizia negli studi di una produzione di una soap sottopagati,
sfruttati e ovviamente precari ha un’idea geniale.
Se è vero
che bisogna fare di necessità virtù l’indiano– appassionato di fotografia – del
gruppo di etnia mista, dove Ben (Michele
Venitucci) è l’unico italiano, trova la stanza delle attrezzature aperta e si
intrufola mettendo le mani su una costosissima cinepresa digitale.
Comincia l’avventura
di matrimonio in matrimonio, prima con numeri scritti sulle tovagliette di
carta e poi con biglietti da visita, volantini, ottenendo l’unica cosa di cui
avevano tutti bisogno, soldi.
Come accade
spesso, però, l’esperienza personale fa sì che ci si renda conto di un disagio
che in molti avevano: la mancanza di collegamenti internet stabili per poter
parlare con i cari lasciati oltre il confine italiano.
Cominciano
a girare di notte dei veri videoclip che la gente d’ogni etnia va a registrare negli
studi per mandarli ai propri cari.
Prendendo
le mosse dalla commedia all’italiana, sulla linea del britannico “Full Monty”, insoliti ignoti alla
riscossa sventrano il successo fatto di maschere e lustrini degli attori delle
soap fino al raggiungimento di una personale vittoria: offrire la possibilità d’un
sorriso, di uno stupore come quello che tiene incatenati milioni di persone col
naso all’insù in mondo visione per
qualche istante.
Il regista Matteo Pellegrini, al suo esordio, declina
esigenze ed urgenze tipiche degli italiani in pieni anni ’50 con quelle degli
immigrati dei giorni nostri.
La storia d’amore
che si insinua tra le pieghe del racconto lascia lo spettatore in attesa del
lieto fine che non tarderà ad arrivare perché, come dice Dilip (Neil D’Souza) «anche
se non sai come arrivare a fine mese, il pesce trova sempre il suo mare… ».