La Francia del Nord non è propriamente un
paesaggio. È un’evoluzione. Di immagini, colori, profumi. Lasciatici alle
spalle prima Bruxelles, poi Lussemburgo, siamo stati accolti da un verde
“abbraccio”, quello della Lorena:
attorno alle nostre spalle, lo abbiamo proprio sentito il tocco dolce degli
alberi maestosi, delle mura dei grandi e austeri castelli.
L’abbiamo
avvertita, la dolcezza degli sguardi delle ragazze infreddolite, guance rosse e
cappelloni di lana in testa, con la loro voce sottile ed elegante. Circa
quattro ore di strada, in un autobus blu elettrico che mandava canzoni dei più
grandi chanteurs transalpini. Solo
la stanchezza, quella, non la avvertivi affatto, preso com’eri dal furibondo
desiderio di nutrirti delle immagini che sfilavano, come giovani, avvenenti
modelle, fuori dai finestrini.
Animali svogliati
al pascolo, cavalli selvaggi, laghi
grigi sotto cieli plumbei, birrerie perdute nel nulla più incantato, insegne
che indicavano la direzione verso sobborghi e villaggi sconosciuti. Quando l’autobus fermava la sua corsa, i cuori
dei viaggiatori intonavano in coro il canto del loro battito.
E via, allora, a
scoprire quel castello desolato,
quella magione appartenuta a una famiglia nobiliare decaduta. La scuola privata
e il convento, il Caffè letterario e la bottega del vino. E quando andavano e
venivano i ragazzi francesi, con il cappuccio della felpa che fuoriusciva con
trasandato e romantico stile dal giubbotto di pelle, respiravi l’aria veloce e
umida dell’Europa più bella.
Quella che qui,
nelle nostre strade, si fa attendere da tanto, troppo tempo. Certo, ognuno se
le sceglie in assoluta libertà le proprie emozioni. E chi scrive sa bene che la
condivisione di questo fascino romantico potrebbe essere una chimera,
riducendosi a un semplice orgasmo privato, solitario, alimentato dalla speranza
di veder trapiantate, nella propria città, le mille belle identità che
compongono il mondo.
Un piacere
assoluto, tuttavia, che la strada ha reso poi incontenibile: giardini pieni di
statuette decorative, strade pulite, case private che sembravano schizzi su una
tela. E poi, ancora, la Moselle,
regione fredda, ma avvolgente come un sorriso, con i suoi venti, che lottano con
il freddo pungente della bassa Germania.
Da Metz, capoluogo,
fiero della sua bellezza gotica, a Thionville, sobborgo con un’anima romantica, un’immagine da
cartolina, con quel centro antico racchiuso dalle mura e il fiume gelido, che
sembra un solco nell’anima della città.
E poi, salendo, il Saarland tedesco, bellissimo, pacato.
Un assolo di violino è l’immagine che userei per descriverlo. Gli occhi chiusi
sono la reazione naturale a questo passaggio della mia memoria: e non è
oscurità quella che vedo.
Piuttosto, una luce
sbiadita, quella del sole che preferisce sonnecchiare sul manto morbido delle
nuvole senza concedersi. Ai vecchi sembra non interessare affatto, continuano a camminare sulle loro strade, come
se il freddo fosse cosa lontana. Ai bambini sembra divertire,
all’entrata delle scuole, tutte piene di alberi, sono già arrossati a
accaldati. Per gli amanti è complice, sapranno trovare il modo di contrastarlo
col calore dei sentimenti.
Ai
viaggiatori, il freddo concede, invece, una
particolare libertà: una specie di apparente solitudine, ovunque, nelle strade
e nelle piazze, nelle osterie e sui marciapiedi, alle fermate degli autobus e
nelle Chiese. Solo apparente, però, perché non c’è mai solitudine quando si sta
bene con se stessi. E questa credo sia stata la più bella lezione della Francia del Nord.