Il turismo religioso rappresenta un’importante componente del settore turistico. Ogni anno sono tanti gli italiani che partono per pellegrinaggi. Una delle mete più ambite, ovviamente, è Roma, che al suo interno ospita la sede della Chiesa Cattolica. Ed è proprio Roma la meta del pellegrinaggio più famoso del cinema italiano, a cui ha partecipa anche una nutrita comitiva da Bitonto.
Parliamo del pellegrinaggio dalla Puglia in “Vieni avanti Cretino”, il celeberrimo film con Lino Banfi, diretto nell’82 da Luciano Salce. La comitiva da Bitonto è l’ultima a scendere dal mezzo, con il suo cartellone che indica la città di provenienza (ci sono anche Bari, Ruvo, Mola, Canosa, Trani, Cerignola).
«Bitonto dove sta? Bitonto? In colonna qui a destra» indica, all’uscita dall’autobus, l’organizzatore, tale don Peppino, il famigerato prete “terrone maledetto” che, all’ombra del Colosseo, dell’Arco di Tito e della Basilica di Massenzio, saluta, di lì a breve, a suon di fragorosi schiaffoni, “Pasquale, Pasquale Zagaria, u figghie de Riccarde”.
Il religioso, interpretato dal barese Dino Cassio e affiancato dal celebre caratterista Jimmy il fenomeno, vede nel personaggio interpretato da Lino Banfi un suo amico di infanzia, appunto Pasquale Zagaria (vero nome dell’attore di Canosa). Ne nasce una spassosa conversazione in cui i due ricordano «quanne eravame uagniune e sciequèmme au pallone», in cui il sacerdote sottolinea, tra un amichevole ma fastidioso ceffone e l’altro: «Si rimaste tale e quale. Nan si cangiate. Si fatte bèlle tunne tunne».
Alla disamina fisica, sempre accompagnata dal sonoro schiaffone, non sfugge il cuoio capelluto di Banfi: «E re capidde come stonne? Come ièrene na volt».
Quando Pasquale inizia a ricordare, nasce una conversazione incomprensibilmente divertente, sottotitolata ironicamente in caratteri arabi. Il problema è che il personaggio interpretato da Banfi si chiama sì Pasquale, ma il suo cognome è Baudaffi e non Zagaria. Finge di riconoscere il prete più per avere l’opportunità di ricambiare i ceffoni, che per sincero ricordo. Tanto che, una volta liberatosi del manesco e falso amico di infanzia, il povero Pasquale esclama, appunto: «Terrone maledetto! Chi chezzo lo conosce!».