Nel luogo più creativo di Bari, il Teatro Duse, una compagnia di attori straordinari sta facendo rivivere la storia di Bitonto, con la regia della brillante Paola Martelli.
Una piccola chicca, che ha avuto un iter particolare e che sta appassionando alla nostra tradizione anche i baresi.
Ma spieghiamo tutto con ordine.
Il professore e studioso bitontino Domenico Schiraldi si è imbattuto, nei suoi studi storico-filologici, in alcune pagine “singolari”. La ricerca si è svolta in seno all’associazione culturale “Accademia della Battaglia”, da sempre impegnata a Bitonto nella rivalutazione della tradizione settecentesca e nella riproposizione del tanto amato corteo storico.
Il curioso ritrovamento è una tragicommedia sulla battaglia di Bitonto, portata in scena il 24 maggio 1915 al Teatro Umberto I dalla “Pregiata Compagnia Comico Drammatica”, diretta dal capocomico Cavalier Antonio Pezzillo.
Autore del testo teatrale, dal titolo “La figlia del Castellano-Episodio della battaglia di Bitonto”, è tale Domenico Lopez, uno scrittore del XIX secolo che non ha lasciato tracce di sé.
Il desiderio di ridare un’anima a questo copione è stato incontenibile. Così, la messinscena è stata affidata a Paola Martelli, tra le più raffinate registe contemporanee, che ha trasformato il testo come farebbe uno scultore con il marmo. Rimuovendo, aggiungendo e limando.
In breve, l’adattamento.
Il capocomico cav. Antonio Pezzillo, con le sue tre figlie, giunge al Teatro Umberto I di Bitonto per mettere in scena “La figlia del castellano”. Gli altri componenti della compagnia si sono smarriti durante il viaggio, ma lo spettacolo deve essere salvato. Si cerca, quindi, di correre ai ripari grazie ad alcune trovate originali: travestendosi, imparando le parti degli attori perduti e insegnando le battute a Dino, un giovane facchino. Come nella migliore tradizione della Commedia dell’Arte, si innescano una serie di lazzi e gag, che stemperano lo sfondo tragico della battaglia tra spagnoli e austriaci. Ma siamo nel 1915 e un’altra guerra, ancor più crudele di quella portata in scena, sconvolge le vite degli italiani, spazzando via la magia del teatro.
Piacevoli, nella moderna trasposizione, sono l’espediente del metateatro e i continui scarti di linguaggio.
La regista, poi, si è rivelata ancora una volta innovativa ed equilibrata al tempo stesso, mostrando una particolare attenzione ai dettagli, a cominciare dagli abiti del Settecento di proprietà dell’accademia bitontina.
Eccezionale è anche l’interpretazione degli attori sul palcoscenico, capaci di spaziare con estrema disinvoltura da un genere all’altro: dalla notevole vis comica di Michele Cuonzo alla perfetta padronanza della scena di Valentina Gadaleta e Tiziana Gerbino, fino all’ottima espressività dei più giovani Cecilia Farina e Claudio Belviso.
Solo un’ultima curiosità.
In conclusione, c’è una piccola sorpresa per gli spettatori: un fonocinematografo proietta sulla parete alcune immagini antiche di Bitonto, calata in una dimensione sospesa e sognante.
Istantanee di una città che non esiste più, se non nei ricordi nostalgici di chi l’ha vissuta.