“Quando mi sono separato dai miei compagni, quando ho detto loro addio, mi è stato chiesto di dimenticare. Ma tutto è memorizzato nella mia mente: gli studenti delle scuole superiori, l’adolescenza e la militanza così breve. E poi la mia compagna scomparsa: Claudia Falcone, che aveva solo 16 anni”.
Pablo Diaz è, al tempo stesso, un miracolato con il corpo ma un morto e sepolto con il cuore e nell’anima. Lo si vede quando racconta tutto di quella terribile storia che raccontiamo questa settimana. Una offesa per il genere umano intero e per il Paese nel quale si è consumata. L’Argentina.
E lui è l’unico sopravvissuto e testimone di un qualcosa di assurdo, e qualche anno fa lo ha raccontato al settimanale “L’Espresso”. Non a caso, ma perché ricorreva il 40ennale di una delle pagine più tristi della storia non solo argentina e del Sud America, ma degli interi anni ’70.
Pablo è stato uno dei pochissimi salvarsi dalla strage di studenti a La Plata, una città a 60 chilometri da Buenos Aires. E più comunemente conosciuto la “notte delle matite spezzate”, dal nome coniato dalla polizia locale per l’operazione che ha cancellato le vite di 234 liceali.
Una carneficina, insomma.
Rapiti, torturati e seviziati per settimane. Lasciati morire di fame e freddo, bendati per non vedere la luce, sottoposti a scosse elettriche, pestaggi e stupri in un centro clandestino di detenzione chiamato Banfild, a 14 chilometri dalla Capitale. Perché? Aver manifestato per un più equo diritto allo studio.
Tutto, ovviamente, ha una data di inizio. Settembre 1976.
L’Argentina, da pochi mesi, era passata dalle mani di Isabelita Peron a quelle di Jorge Rafael Videla, con un micidiale colpo di Stato. Fin da subito, la dittatura di questo generale nativo di Mercedes si segnala per la continua e reiterata violazione dei diritti umani (accanto alla sospensione della Costituzione, lo scioglimento del Parlamento e dei partiti politici), e una violentissima repressione e sterminio di una parte consistente di tutta la popolazione locale. Per lui, infatti, tutti i sovversivi e gli indesiderabili non avevano ragione di esistere. Ben 45mila le persone eliminate o fatte eliminare durante il suo regime – chiuso nel 1983 – di cui 30mila di nascosto, e quindi chiamati “desaparecidos”.
Nessuno poteva salvarsi dalla sua ferocia. Neanche gli studenti. Che avevano osato protestare contro l’abolizione di una tessera che permetteva di avere uno sconto sui trasporti e anche sui libri.
La risposta del Governo non si è fatta attendere. Il 16 settembre la polizia fa arrestare, complessivamente, 235 liceali, incarcerati con l’accusa di “attività atee e sovversive”.
Durante la prigionia i giovani – tutti di età compresa tra 16 e 18 anni – si facevano forza pregando e cantando le melodie delle proteste studentesche. Di nessuno a parte Pablo si è più avuta notizia. E pazienza – ma mica tanto – che Pablo stesso ha passato poi altri quattro anni in carcere dopo essersi salvato, perché tirato fuori da quell’inferno in circostanze ancora poco chiare.
Ed è stato grazie alle sue parole e ai suoi racconti che si è fatto luce su quel terribile accaduto, e sono stati imbastiti alcuni processi sulla questione desaparecidos, a moltissimi anni di distanza dagli accaduti.
Sulla notte delle matite spezzate è stato realizzato anche un film nel 1986, dall’omonimo titolo e con la regia di Hector Olivera.