Ennesimo successo, stavolta
riscosso sul rinomato palcoscenico del Teatro
Di Cagno di Bari, inanellato dalla compagnia amatoriale Mariott’Arte, con la commedia “www.Scampamorte.com”.
Gli spettatori baresi hanno colto
la pregevole performance degli attori
di Mariotto, nei termini propri di una
genuina gestualità, dizione e vis comica,
naturale portato di una non agevole, e pluriennale, forgia artistica.
La commedia, in due atti, dell’autore
ternano Italo Conti ha girato mezza
provincia, chiudendo sempre tra i fioccanti applausi e le lusinghe delle non
sparute standing ovation.
Ieri sera più di un centinaio di
baresi hanno atteso fino all’ultima battuta per tributare il riconoscimento più
bello che una compagnia di attori può attendersi: il plauso per una commedia riuscita
che ha divertito il pubblico, e la curiosità suscitata in taluni che chiedevano
dalla platea quale fosse la città di provenienza della compagnia.
Sentir risuonare, con le parole
del protagonista Giuseppe Grassodette a suggello della commedia, il nome di Mariotto in un così reputato
contesto, ha nutrito in molti dei ragazzi di
Mariott’Arte il riflesso istintivo di un sano compiacimento.
E quel che resta, alla fine di
uno spettacolo, è proprio la vivida fierezza di una legittimazione, specie quando
a conferirne l’attestato è un pubblico di spettatori particolarmente avvertiti
come quelli del Di Cagno.
Tutto ciò genera negli attori una
sorta di appagamento, sentito come riflesso dell’impegno diligentemente compiuto,
quasi con spirito di servizio.
Il ricordo del copione originario
con cui dover familiarizzare si fa lontano, e così le smorfie irritate per un
rimaneggiamento pensato, poi ritrattato; idemper le approssimazioni successive di una creatività che, messa alla prova per
mesi, fa gli “straordinari” in quel suo combinare indefessamente oggetti,
arredi e colori, prima del solenne imprimaturche consente al cimento artistico privato di risolversi nella pubblica virtù di
una rappresentazione scenica.
Scampamorte è trama di amore e tradimento, ordito certosino di verità
scomode e di comode falsità. L’avvelenamento (mancato) del Cav. Del Corno da
parte di sua moglie Marisa è solo il pretesto per inscenare il teatro simbolico
dell’ipocrisia e del perbenismo, volutamente giustapposti. Neanche le reiterategag, tutte ambientate nella sinistralocation di un’agenzia di onoranze
funebri, sono riuscite a distogliere l’attenzione da certi, imperanti valori
tradizionali, gli unici capaci di ristabilire le distanze tra spregiudicatezza
e moralità. L’equilibrio catallattico non può essere turbato più di tanto,
tutto, allora, si ricompone in un più rassicurante quadro di rapporti umani, in
cui non c’è spazio alcuno per scorciatoie verso la felicità.
La femme fatale esce di scena esanime, non avendo mai goduto, de facto, di alcun diritto di
cittadinanza in un mondo, che, ricusando l’etica dell’espediente, si lascia
sedurre dalla retorica del sentimentalismo al solo scopo di redimersi.