Importanti novità giungono da Bari, dove sono in corso ormai da tempo i processi per il fallimento di Parco Don Vito e per il crac di Divania. Un processo, iniziato nel 2020 e andato finora molto a rilento, che vede coinvolti gli ex vertici Unicredit, accusati di aver causato il dissesto delle due società baresi.
La Procura di Bari ha contestato agli imputati l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, previsto dalla legge fallimentare (art. 219 c. 1). A giudizio ci sono 16 persone, tra le quali gli ex amministratori delegati della banca Alessandro Profumo, attuale ad di Leonardo, e Federico Ghizzoni, che rispondono di reati fallimentari.
Una delle due società, la Divania aveva, tra le sedi, un immobile sull’attuale strada provinciale 231 che, ormai da anni, versa in stato di profondo degrado. Una volta ospitava la produzione e lo showroom di un’azienda leader della produzione di divani, che dava lavoro a 430 operai ed esportava in tutto il mondo. Era settima produttrice di divani in Italia e fatturava 70 milioni di euro l’anno. Una realtà del Sud sana ed in crescita, un fiore all’occhiello della zona industriale del capoluogo, la cui storia fu raccontata nel libro “Sulla mia pelle. Il caso Divania – Unicredit”, edito a fine 2015 da Imprimatur e scritto a quattro mani da Francesco Saverio Parisi, imprenditore e patron di Divania, e dal giornalista Giovanni Longo. Si racconta l’ascesa e lo sfortunato declino di un’azienda florida, denunciando «la sconcertante storia del più grave scandalo italiano di malafinanza creativa e le responsabilità che i poteri forti vogliono coprire».
Ma torniamo al processo. Al termine dell’udienza che si è tenuta nelle settimane scorse, il pm Lanfranco Marazia, dopo aver ascoltato la deposizione del denunciante, il già citato imprenditore Parisi, ha annunciato la contestazione dell’aggravante che comporta, nel caso di condanna, una pena aumentata della metà e l’allungamento dei termini di prescrizione. Prossima tappa del processo, il 17 marzo, data in cui il presidente del collegio dibattimentale ha rinviato l’udienza, per permettere che la nuova contestazione venga notifica agli imputati. Che sono accusati di aver ingannato il titolare di Divania, Francesco Saverio Parisi, inducendolo a firmare 203 contratti derivati, facendogli credere che si trattasse di operazioni a costo zero prive di rischio. Salvo poi distrarre oltre 183 milioni di euro dai conti correnti della società, senza autorizzazione del correntista (la società, ndr), impedendo così «di fatto di svolgere la normale attività produttiva». E così, in pochi anni, secondo l’accusa, «avrebbero portato Divania al dissesto e al conseguente fallimento», provocando un crac stimato in 198 milioni e la fine prematura di un’azienda fiore all’occhiello della Puglia e del Sud Italia.