Graziaè stata ferita tre giorni fa da alcuni colpi di pistola sparati dal marito, aPalombaio.
Grazia
è stata ferita dalla persona a cui, probabilmente, ha dedicato nel bene e nel
male tutta l’esistenza.
Una
vicenda strettamente privata e nella quale il buonsenso ci invita a non entrare
con piedi prepotenti e irriguardosi, ma che pure offre materiale per una riflessione
di carattere generale.
Ancora
una volta, la vittima è una donna e a fare da corollario alla triste vicenda
sono termini come gelosia, violenza e sopraffazione.
Ancora una volta, si rende
necessario parlare di femminismo o femminismi (ma quanto è avvilente dover fare
discorsi di genere nel 2015!).
Scarpette
rosse, manifestazioni di sensibilizzazione e festival sul tema (a tal
proposito, l’Università di Bari ne organizza uno da quattro anni, in cui si
discute di cultura di genere attraverso la filosofia, la letteratura e il
cinema), sembrano non aver fatto avanzare di un solo millimetro la marcia verso
l’“accettazione” della donna.
Già, perché è di questo che dovremmo parlare: di
“accettazione” delle differenze, non certo di parità o quote rosa in maniera
alquanto riduttiva.
Non
lasciamoci ingannare quando ci dicono che il mondo finalmente è donna e che il
gioco dei ruoli sia stato irrimediabilmente sovvertito a svantaggio dell’uomo.
È vuota retorica, una coltre che nasconde una società e una cultura ancora
fortemente maschiliste.
Piccoli margini di libertà sono lasciati, di fatti, alle
donne, le quali devono essere buone madri, buone mogli e buone lavoratrici.
Perfette, insomma.
O meglio ancora “sante”, per riprendere l’espressione di un tale Michele Buoninconti.
In
sostanza, alla donna si chiede tutto tranne che essere sé stessa, realizzare il
proprio Io in piena autonomia e vivere liberamente la propria sessualità, pur
nella consapevolezza della diversità.
Pena, per quelle che ostinatamente valicano
i limiti del recinto imposto dalla società, è quel mix di pregiudizio e disistima che presto le sommerge quando non sono come il cliché che si vorrebbe imporre loro.
Nel
peggiore dei casi, pure qualche colpo di pistola.
Perché
la battaglia, purtroppo, si combatte ancora a suon di violenza psicologica, percosse
e armi da fuoco, dove a vincere è sempre il più cinico e il più forte.
Ma
quando ci scontreremo/incontreremo sulla bellezza dei corpi, sull’emotività, sui
battiti del cuore, valorizzando le differenze che inevitabilmente esistono tra
i due generi?
Punto di partenza, magari, potrebbe essere questo pensiero dellafilosofa belga Luce Irigaray, che a giusta ragione pone l’accento sull’insensatezza di
una società a “soggetto unico” (sia esso maschile o femminile): “L’umanità
è a due e bisogna divinizzare questa condizione, coltivare il nostro essere in
relazione con il prossimo“.