«Perché non li ospiti a casa tua?» è la frase che, con estrema approssimazione e superficialità e con una retorica pressappochista, spesso si sente dire chi prova ad affrontare temi delicati come l’immigrazione e l’accoglienza di rifugiati, senza cedere a slogan facili. Una sorta di riflesso condizionato che parte automaticamente, come se la soluzione del problema possa essere solo quella. Come se fosse solo una mera questione di posto letto, quasi fosse un turista qualsiasi, e non fosse una faccenda seria che richiede le migliori risorse e competenze. Come se uno Stato civile, pagato con le tasse e destinatario di fondi utili anche a quello, possa lavarsene le mani lasciando tutto solamente al singolo cittadino, senza risorse adeguate. Come se chi lo dice si dia tanto da fare per i bisognosi nostrani, sempre usati come improprio termine di paragone.
Eppure, nonostante un cinismo dilagante, qualcuno che prova a mostrare sensibilità dare il proprio concreto contributo, facendolo davvero, c’è. E possono testimoniarlo una mamma e le sue due bambine provenienti dall’Afghanistan, che hanno trovato alloggio in una famiglia di Bitonto, quella dei Maffei. È la seconda convivenza avviata dalla sezione barese di “Refugees welcome”, dopo l’accoglienza data ad un cittadino del Niger da una famiglia di Giovinazzo.
La donna afghana ha iniziato il suo viaggio anni fa dal paese asiatico, per cercare fortuna e una vita più serena altrove, insieme ad una bimba molto malata e ad un’altra non ancora nata. La famiglia che li accoglierà è formata da cinque persone e, quindi, si allargherà, arrivando ad otto.
“Refugees welcome” è un’associazione, nata a Berlino e arrivata lo scorso marzo a Bari, che si propone di sperimentare un modello di accoglienza in famiglia basato sulla collaborazione fra le amministrazioni locali e la cittadinanza attiva, per creare una buona pratica che possa ispirare le politiche territoriali e possa essere applicata su larga scala. L’obiettivo è favorire l’accoglienza e l’integrazione di maggiorenni in uscita dagli Sprar, così da sviluppare percorsi di autonomia delle persone accolte, in modo che possano continuare da soli dopo la fine della convivenza.
Tutti possono candidarsi per offrire il proprio aiuto: famiglie, pensionati, single e studenti. A condizione che abbiano una camera libera e possano offrirla ad un rifugiato. Finora, in Italia, sono state attivate 160 convivenze e due sono nel barese.