In
primis l’aspetto professionale. Non soltanto un buon medico, ma
soprattutto un medico buono. Poi la grande cultura, perché aveva
studiato semeiotica medica, una pratica che oggi non solo praticano
in pochi ma che quasi non esiste più. Infine un possibile suo
futuro: sarebbe stato un ottimo docente di letteratura.
Giuseppe
Paciullo, presidente del Circolo Unione, non ha lesinato parole dolci
per ricordare Gaetano Vacca, medico e letterato bitontino e uno dei
più illustri personaggi nostrani del ‘900 e non solo.
Lo
testimonia la sua formazione. Medica e letteraria. Amante
dell’idealismo romantico e del verismo, restio verso l’ermetismo, il
simbolismo, e l’espressionismo pittorico.
Lo
raccontano i suoi scritti, che profumano di uomo, come quelli del
miglior Marziale. E c’è davvero di tutto: non soltanto
intellettuali, ma anche contadini, barbieri e sellai.
Un
curriculum davvero invidiabile. Gaetano Vacca, insomma, «è
un letterato del primo Novecento», ha
affermato senza infingimenti Nicola Pice, che ha letto alcuni dei
suoi passi più significativi.
Ci
sono, per esempio, quelli in cui si sottolinea che non c’è alcuno
iato tra pedagogia e medicina, perché entrambe guardano alla vita e
la medicina, per giunta, è anche formazione spirituale e
intellettuale.
Già,
ma chi è il medico secondo Gaetano? È colui che si compiace di
prestare soccorso alle vite, e che osserva il malato nella stessa
maniera in cui lo fa il frate quando entra nella cella.
Il
profumo degli uomini, si diceva. Basta leggere “Gente
in piazza”
del 1957 per accorgersene. «La
gente sono i contadini – scrive
Vacca -. Quelli che
vivono stentati e solitari sotto un cielo incomprensibile. Questa
gente odora di terra e di povertà. Sono quelli che lavorano la terra
degli altri; a giornata; talvolta a frazioni di giornata. Di proprio
non hanno nulla, solo braccia e gambe. Quelle per menar di zappa e
d’accetta, queste per camminare, camminare, sulle strade polverose od
infangate, o nei solchi dei campi. Null’altro hanno».
E
che dire di Cocullo, personaggio il cui nome deriva da un paesino a
chiara vocazione agricola di circa 250
anime della provincia dell’Aquila? «Era
un pover’uomo strapazzato da tutti in paese, dai piccoli e dai
grandi, per il lavoro che gli imponevano questi per le burle e gli
scherni che gli combinavano quelli» (“Un
giorno, un mese, un anno”, 1956).
C’è,
infine, anche un bel pensiero su Giovanni Modugno, e sulla sua
presunta conversione al cristianesimo. È il 1958. Ipotesi e
circostanza che Vacca nega a più riprese. Nonostante questo
dibattito, però, «c’è
soltanto un problema da risolvere: l’educazione di se stesso prima,
dei giovani e delle masse, poi. Problemi che si propose di risolvere
con due differenti impostazioni: sulla piazza e nella scuola».
A
riassaporare le sue parole e il suo ricordo, l’altro giorno al
Circolo Unione, c’erano le figlie e i parenti più cari, oltre ai tanti curati e salvati da Gaetano nei corridoi
dell’ospedale di Bitonto.
E
per lui, il medico letterato del Novecento nostrano, non poteva
esserci tributo migliore.