“Nuntio vobis gaudium magnum, habemus papam”…
Rieccheggiano ancora nell’aere le parole con cui il Cardinale protodiacono Dominique Mamberti ha annunciato che il nuovo Papa è l’americano Robert Francis Prevost, e si chiamerà Papa Leone XIV. La fumata bianca alle 18,08 di giovedì 8 maggio scorso.
Un autentico colpo di scena che ha spiazzato tutti, vaticanisti, giornalisti, bookmakers, dietrologi, financo coloro che si sono appellati all’IA.
Gli occhi del mondo spalancati sulla Loggia delle Benedizioni, il finestrone che si apre, la folla che ondeggia dietro alle transenne, un silenzio solenne, antico che precede l’annuncio.
E mentre Leone XIV si affaccia sul balcone, molti sono già sul web per capire chi è, chi non è. La meraviglia dell’apparizione cela, però, un qualcosa di più profondo: il timore di un Papa americano. Molti infatti si chiedono se è amico di Trump, se l’ha voluto Trump, se il potere del Presidente americano sia arrivato fin dentro il Conclave.
Sono attimi…attimi in cui il nuovo Papa è sotto scrutinio sul balcone, la sua postura è sotto scrutinio: mani intrecciate a dita strette, rapido saluto a braccia aperte, un ponte virtuale con la piazza, poi di nuovo mani intrecciate, di nuovo un saluto con la destra, poi con la sinistra, una gestualità posturale e apostolica.
“Peccato, dirà qualcuno sui giornali, non si siano potuti vedere i piedi, non solo per le scarpe indossate, ma perchè, lontano dalla testa, sono gli organi che parlano di più”…
Poi, però, afferra la cartella e i fogli con una certa energia, la mano libera pronta a sottolineare ritmicamente i concetti, gli occhi sono mobili, a tratti emozionati, in ogni caso appare abbastanza saldo, quando il suo messaggio urbis et orbis comincia a scorrere, disarmato e disarmante come la pace che sin da subito invoca.
Nella sua figura di agostiniano, tutto sembra trovare una sintesi perfetta: è colui che unisce le Americhe, è il nome della mediazione, in grado di non scontentare le varie anime della Chiesa, missionario ma dottrinale al tempo stesso, vicino all’impostazione di Bergoglio, ma non così vicino alle aspirazioni più radicali di alcuni ambienti ecclesiastici: se i contenuti sono in buona parte condivisi dai due, è nei segni, nei gesti e nello stile comunicativo che emergono le differenze. Il tono di Leone XIV è apparso pacato ma solenne, lontano dalla confidenza immediata che aveva caratterizzato l’esordio di Bergoglio. E’ il ritorno ad una visione più ieratica del papato, che però non rinnega l’umanità, bensì la media attraverso il rito. Una Chiesa universale che cerca unità nella pluralità, senza ridurla a slogan o emozione, evitando strappi.
Ed infine, nell’incontro dell’ultimora con i giornalisti, li invita a “portare avanti una comunicazione diversa, che non ricerca il consenso, non si riveste di parole aggressive, non sposa il modello della competizione, disarmiamo le parole per disarmare il mondo…”. Un monito che questa redazione sposa in pieno e condivide.
Il gregge ha, or dunque, trovato il suo nuovo Pastore.
(foto dal web)