In una recente interessante intervista un famoso antropologo italiano ha lanciato un allarme: l’ipocrisia del neo-salutismo restringe le libertà.
La premessa essenziale del suo ragionamento è che il salutismo è una sorta di degenerazione dell’attenzione alla salute: un conto è la cura, l’attenzione al benessere psicofisico dei cittadini, altro è voler uniformare gli standard delle abitudini.
Il salutismo tenderebbe a normare tutto, a prescrivere un modello standard cui tutti i cittadini dovrebbero adeguarsi. Ma questa è una cosa assolutamente autoritaria che può portare alla degenerazione della cura della salute, perché un conto è lo stare bene, altro è privarsi dei piaceri della vita – alimentari, sessuali, erotici, artistici – in base a standard salutistici preformati.
Ne deriva un’idea di cittadinanza che vuole uniformare i comportamenti delle persone in base a standard stabiliti dall’alto: identità sessuale, visione del mondo, tecnologia, alimentazione e salute.
Proprio l’alimentazione è la prova provata di questo discorso, dato che secondo l’ideologia salutista essa non è il piacere del degustare, mangiare, stare insieme, ma l’avere uno standard rispetto al peso corporeo, alle proteine, ai grassi, ai carboidrati.
Il salutismo ha avuto una tradizione funesta in Europa durante il nazismo, quando negli stati autoritari degli anni 30 si prefigurava una visione uniforme della alimentazione e della salute anche in termini di eugenetica.
Attualmente c’è una ripresa in molti Stati occidentali, dall’Europa agli USA, nell’affermazione di una visione “uniforme” che punta a mettere insieme salute, alimentazione e corpo fissando modelli e parametri, determinando cosa sia giusto o meno.
E’ una tendenza autoritaria che, in nome del salutismo, punta ad affermare regole alimentari uniche e prefissate che vorrebbero dirci anche come stare al mondo.
Basta vedere la campagna contro il vino, una vera ossessione al punto da chiedere etichette di alert sulle bottiglie, o quella contro la pasta, i cui carboidrati deturperebbero, non solo il corpo, ma anche la mente, o infine la carne la cui assunzione è una vergogna, visto che uccidiamo altri esseri viventi ed inquiniamo l’ambiente.
Vengono così adottate liste di proscrizione alimentare con cui viene messo al bando il piacere. E questo discorso vale anche per l’arte, per il cinema: vince l’omologazione, basti pensare alle produzioni delle compagnie tipo Netflix o Amazon. Ma vale anche per la sessualità: si cerca di affermare un modello sessuale affine a quello alimentare, basato su maschio e femmina, come ha detto Trump appena insediato.
Vi è un’equazione tra questo dualismo sessuale e il salutismo alimentare dove un governo predetermina ciò che è salutare per i corpi, corpi che sono maschi o femmine. Il modello alimentare, quello sessuale, quello culturale, corporale e politico sono fissati in una determinazione verticistica.
Ma l’autonomia di un soggetto non può essere sacrificata: una persona cosciente deve saper decidere. La legge non può decidere per me: io decido quando posso bere tanto e quando posso bere poco. Ogni tendenza dirigistica impedisce la decisione autonoma del soggetto che è il grande valore del pensiero occidentale. Gli individui devono poter vivere la propria vita che è fatta anche di conflitti e della riflessione su come risolverli. Ciò solo determina se una società è liberale piuttosto che autoritaria. Le soluzioni dei conflitti non possono essere predeterminate: se si elimina il conflitto quotidiano dall’alto si entra in una società autoritaria.
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