Non c’era solo tanta gente fisicamente presente giovedì all’assemblea pubblica “Giovani, formazione e buona occupazione”, organizzata dalla CGIL Puglia a Bari, ma anche i loro sogni, i loro obiettivi e le loro speranze.
Ognuno aveva voglia di dire la sua per condividere il disagio in cui gran parte degli under 30 vive oggi giorno in Italia e trovare una soluzione per «provare ad invertire la rotta rispetto ad uno stato di inerzia che incombe sulla nostra terra», come rivelato da Gigia Bucci, segretario generale della Cgil Bari.
L’iniziativa è partita con la straziante lettera sulle sensazioni e le paure dei giovani, letta da Riccardo Lanzarone nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Bari, «luogo simbolo, che mostra i segni dei disinvestimenti sulla conoscenza e l’istruzione pubblica», come dichiarato dal segretario generale della Cgil Puglia, Pino Gesmundo.
Il disagio ha inizio proprio all’interno dell’università che, «anziché essere un luogo del sapere e fonte di stimoli, rappresenta anche una promessa tradita che racconta di un mondo della conoscenza privato della sua ontologica funzione. Da strumento di emancipazione di massa a spazio in cui si originano processi di espulsione», come espresso da Maria Giorgia Vulcano, coordinatrice del dipartimento Politiche giovanili della Cgil regionale.
Non è mancata l’attenzione sulle dinamiche lavorative degli itineranti, degli stranieri e dei “Neet” (persone non impegnate nello studio, né nel lavoro né nella formazione). Dichiarate inadeguate anche le esperienze di alternanza scuola-lavoro e di coloro che esercitano un mestiere in situazioni precarie o come operatori telefonici, come Cecilia che, in un call center a Taranto, è stata «pagata 0,33 centesimi all’ora e non mi era concessa neanche la pausa per andare in bagno, altrimenti mi sarebbe stata detratta dalla busta paga» o la brindisina Tiziana, costretta ad emigrare a «Treviso per una cattedra di 4 ore e 400 euro al mese, insufficienti persino per un affitto».
Questi giovani si sono rivolti alla Cgil, grazie all’iniziativa che si inserisce nella campagna #Passaincgil, per denunciare queste condizioni, per far valere i propri diritti e far rispettare la propria dignità.
Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ha rassicurato la platea, inizialmente risentita, esponendo tutto ciò che «stiamo cercando di fare per il lavoro, per l’industria, per le piccole e medie imprese e sull’occupazione giovanile e la sua formazione. Con la Cgil siamo riusciti ad assumere tutti quelli che avevano vinto un concorso legittimamente ed assicurare la stabilizzazione di tutti i precari della Regione Puglia; probabilmente riusciremo ad impiegare tutti gli idonei che, pur non essendo rientrati nel numero dei vincitori, potrebbero dare una mano in Regione – ha aggiunto -. Abbiamo sempre dialogato con il sindacato per trovare pian piano la soluzione e costruire politiche che potessero riattivare il lavoro. Siamo fianco a fianco in tutte le vertenze senza mollare mai. Il nostro obiettivo è quello di ricostruire nei giovani un minimo di fiducia che tenga insieme il disegno costituzionale».
A cuore aperto l’ex sindaco di Bari ha affermato in conclusione che «questo dolore che state provando, lo condivido e lo vivo insieme a voi come presidente. Io sopporterò, ma per farlo ho bisogno del vostro aiuto».
A tirare le somme dell’assemblea è stata Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che ha indicato come colpevole, per aver suggerito la strada sbagliata, “l’ideologia liberista”. «Ci dicevano che il lavoro non era più la dimensione centrale delle persone ed è questa la ragione per cui oggi i giovani non si ascoltano. Il presente non è come l’hanno descritto; i ragazzi e le ragazze vogliono lavorare, scegliere il loro impiego, esercitarlo senza una corsa continua per ottenere l’autosufficienza ed evitare la povertà. I giovani, se possibile, vogliono un collegamento tra i loro studi e il posto di lavoro».
La Camusso ha criticato persino le aziende, «artefici di uno sfruttamento organizzato, come nel caso del caporalato che abbiamo contrastato con una buona legge. Bisogna cambiare la politica del diritto allo studio – ha precisato -. È necessario rispettare realmente i criteri per ottenere una borsa di studio. Abbiamo inventato perfino le ‘borse virtuali’ per illudere le persone che ne hanno diritto, ma che di fatto non la ricevono. Tra l’altro, le borse di studio in Italia sono troppo poche, perché prima si vede quante risorse ci sono, dopo si stabilisce il numero di borse, un sistema sbagliato».
Criticata anche la scelta del numero chiuso all’università.
Ironicamente ha esposto che «prima vogliamo far crescere l’istruzione, poi mettiamo il numero chiuso e in seguito scopriamo che nel nostro territorio mancano i medici. Questo è un esempio di grave miopia. Il sindacato – ha concluso – è un soggetto che ha come strumento fondamentale la contrattazione collettiva, con l’obiettivo di cambiare la condizione della realtà».