Vito
Antonio Loprieno ha quale primo amore il sindacato e, di fatto, nella vita si
preoccupa di difendere i diritti dei lavoratori.
Ma nel cuore custodisce una
passione irresistibile per la scrittura e per il “sapere”, cosicché, tra una
battaglia sindacale e l’altra, trova il tempo di scrivere romanzi di
apprezzabile qualità.
La sua ultima fatica, dal titolo Il Tredicesimo Papiro. Anno domini MII, ripercorre le vicissitudini
della città di Bari nell’anno 1002, quando un nuovo e ancor più efferato
assalto da parte dei saraceni si profila al di là della cinta muraria.
Un
omaggio al capoluogo pugliese e a un popolo di uomini e donne coraggiosi, che
hanno saputo resistere al nemico e, spesso, farsi “culla” di popoli e religioni
attraverso il principio dell’integrazione.
Questa
sera, l’autore presenterà il romanzo presso la
Chiesa di Santa Caterina D’Alessandria, sede dell’Associazione Agorà, alle ore
18,30. Nel corso dell’incontro, moderato dal giornalista Marino Pagano,
interverranno la prof. Gianna Sammati dell’associazione Agorà e il dott. Vito
Ricci di Medievista.
Come nasce l’idea di inquadrare il
romanzo in un periodo storico della città di Bari ancora poco conosciuto?
Nel
“Mare di lato”, il mio precedente romanzo, scrissi di una festa che si
celebrava a Bari e che affondava le radici nel lontano 1002, anno dell’assedio
dei saraceni e della liberazione ad opera del Doge Pietro II Orseolo, che era molto
ben rappresentata sul sipario del Petruzzelli ad opera dell’Armenise, purtroppo
distrutto con l’incendio del teatro.
Di certo, il lavoro di ricerca delle fonti
non sarà stato facile. A chi s’è rivolto per chiedere consigli o
suggerimenti?
In quali biblioteche s’è rintanato?
Di
fatto, è stata la parte più difficile. Dai Normanni in poi troviamo molti
cronisti, ma del IX e X secolo c’è veramente poco. Ho fatto ricorso a studi e
testi di autorevoli studiosi e storici italiani, francesi e americani, per la
parte che riguarda Venezia.
Per il
poeta Alphonse de Lamartine, “gli
scrittori cercano l’ispirazione lontano, mentre essa è
nel cuore“.
Qual è stata la sua fonte di ispirazione per la “microstoria”, vale a dire per
le vicissitudini del novizio Leone e Anna, o per quella ancor più struggente di
Esther e Rebecca?
Ho
provato a cercare di rappresentare una società assalita da guerre di potere e
di religione, ma che vedeva nella gente comune il vero senso della vita. Sono i
personaggi minori a farci capire meglio la Storia.
A chi ha sottoposto il suo
manoscritto per averne un primo giudizio?
Ho
dei miei amici, grandi lettori, che collaborano a valutare e a individuare le
zone d’ombra, che sempre ci sono in una prima stesura.
Il complimento più appassionato che
ha ricevuto fino a questo momento…
“Un
romanzo avvincente, che squarcia il velo dell’oblio che per troppo tempo è
calato sulla nostra storia”.
È vero che vuole ripristinare la
cerimonia della “vidua vidue”? Di che
cosa si tratta?
Fa
riferimento alla coraggiosa resistenza del popolo barese ai saraceni, resistenza
che impedì la conquista della Puglia all’Islam come era accaduto anni prima in
Sicilia. Infatti i baresi, nell’anno 1003, istituirono questa festa proprio per
non dimenticare l’evento e si andò avanti per 965 anni, sino al 1968, quando si
decise di sopprimerla. Ma la storia non si può cancellare, soprattutto quando è
stato il popolo il vero protagonista. E a Bari, in quella occasione, avvenne
ciò.
Il suo romanzo fa venir voglia di
scoprire luoghi o simboli di Bari che pochi ancora conoscono. Quale itinerarium consiglierebbe ad un turista immaginario?
C’è
tanto da vedere della Bari bizantina del X secolo. Prima di tutto, la
cattedrale antica visitabile nel succorpo di quella odierna, con gli splendidi
mosaici del periodo tardo romano (V sec. D.C.). Poi, i resti delle chiese
bizantine sotto il Castello, a Palazzo Simi, nella chiesa di San Michele
Arcangelo in via S. Benedetto, sede del convento benedettino dove si svolge il
romanzo. Ma, soprattutto, il famoso –ahimè per pochi- Exultet presso il Museo Diocesano, un reperto storico e artistico
di inestimabile valore.
A chi deve il ringraziamento più
grande per la realizzazione di quest’opera?
A
quell’antico popolo di resistenti, uomini e donne coraggiosi. E poi al mio
amico storico e filosofo prof. Pietro Mazzeo, con cui ho percorso in lungo e in
largo le vie della conoscenza.
Il Tredicesimo papiro, dunque, può
essere considerato anche un personale atto d’amore alla sua città?
Per
Bari, ma anche per tutto il meridione d’Italia che trasuda storia e cultura da
ogni pietra, da ogni muretto a secco, da ogni pagina mai scritta perché, per
ricordare De Gregori, “La storia siamo
noi”, ma spesso la scrivono i vincitori!