Il palazzo dei quindici piani, nel
centro di Tirana, è una sequenza di livelli in cemento, che svetta contro il
cielo, riflesso, nel suo blu argentato, nella facciata vetrata delle finestre.
Seimir,
un ragazzo gentile del sud dell’Albania, mi spiega che, prima del comunismo,
quella costruzione era una moschea.
Musulmani in preghiera affollavano le
vie del centro di Tirana per ritirarsi in preghiera. Durante gli anni della
dittatura, quel luogo di ritrovo religioso è stato abbattuto e ricostruito,
diventando un albergo e, per il sollazzo dei potenti, il palazzo più alto di
Tirana. Un blocco di cemento eretto dal blocco comunista. Ai suoi piedi, una
piazza caotica, piena di volti segnati dallo smog, dal sole, dalla povertà.
E,
nel caso delle ragazze, da un’acuta bellezza. Capelli lunghi bruni, che
contrastano col sole grigio del cielo albanese. Le strade che partono dal
centro sono la tela di un ragno, fitte e intricate e scoppiano sotto il piede pesante
degli automobilisti inferociti. Guidano mezzi vecchi, alimentati da
combustibili letali.
La puzza del piombo ti riempie fino a nausearti, poi come
per magia scompare nei vicoli nascosti della capitale albanese, dove è facile
incontrare musulmani in preghiera, venditori di castagne o di pannocchie di
mais, macellai intenti ad ammazzare agnelli o vitelli davanti agli occhi dei
passanti. Mi ferma un uomo sulla sessantina. Mi chiede la provenienza.
“Italiano”, gli dico, e sul suo volto si solca un sorriso largo
quanto il suo ventre.
Dalla sua faccia, cala una barba
argentea che sembra una cascata, che riflette anni di sofferenze, speranze,
paure, costanti aspettative. Parliamo un po’.
Mi dice il suo nome (Kaidir), che
ha trascorso quasi dieci anni in Italia, in quel nordest pieno di fabbriche,
belle speranze e sogni interrotti. È ritornato in Italia dopo il crollo del
comunismo. Da allora, pare abbia deciso di non radersi più. Mi racconta tutto
questo mentre le sue mani callose sciolgono le fitte trame dei peli sul suo
volto.
Lascio Kaidir e i suoi ricordi in una traversa di largo Giovanni Paolo
II. Alle mie spalle, i suoi occhi. Di fronte, la sagoma nera dei Balcani, con i
villaggi, le foreste scure, i laghi, le chiese distrutte. Tutti protagonisti di
una storia appena cominciata.