Perché l’Autore della Divina Commedia si chiama Dante Alighieri? Questa domanda, che dovrebbe sollecitare un’analisi più attenta anche sul piano della divulgazione scolastica, annega invece nella sterminata bibliografia dantesca, rimanendo senza risposta ed impedendo così di far luce sulla (poco conosciuta) vita del Poeta. Anche perché, di primo acchito, potrebbe sembrare un interrogativo banale, perfino stupido se consideriamo che un padre, Alighiero, figlio di un certo Bellincione, è libero di augurare a suo figlio di resistere (durare, appunto) a tutte le possibili avversità della vita terrena, chiamandolo Durante, abbreviato in Dante. Ma nel dare tale nome al primogenito, il signor Alighiero, agente di cambio ed usuraio per arrotondare le entrate, per l’epoca si è comportato in maniera strana perché avrebbe dovuto dargli il nome di suo padre, Bellincione. Che, del resto, aveva rispettato la tradizione, sociale e familiare, chiamando il suo primogenito Alighiero (in linea familiare, il secondo) in onore di suo padre, Alighiero (il primo). Questi, però, portava il nome di … sua madre, una forestiera proveniente dalla pianura Padana. Lo attesta autorevolmente Cacciaguida, il trisavolo di Dante, che nel XV canto del Paradiso gli illustra la genealogia familiare. Io sono Cacciaguida, gli dice tutto felice (non è chiaro se perché si trova in Paradiso o ha davanti un illustre discendente), il tuo capostipite, appartengo alla famiglia degli Elisei, ho avuto un fratello, Moronto (furoreggiavano i bei nomi all’epoca …), ho sposato una donna forestiera, che proveniva dalla pianura Padana, dalla quale ha preso nome il mio primogenito, Alighiero (altro bel nome!), che ha avuto un figlio, Bellincione (arridaje coi bei nomi!), tuo nonno, ed ha avviato la tua (bella) famiglia. Ed ho partecipato, aggiunge commosso, alla Crociata di Corrado III (1147 – 49) in Siria, dove sono morto, per giunta, ma rimediando, poco prima, il titolo di cavaliere, che ho trasmesso alla tua (nobile) famiglia: gli Alighieri, appunto. Informazioni poche ma utili ed attendibili perché fornite direttamente dall’Autore al lettore. Dalle quali, se ci riflettiamo su con un po’ più d’attenzione, nasce davvero un bel busillis: un figlio primogenito non si chiama come il nonno paterno e porta il cognome di una trisavola, una certa Aldaghieri di Ferrara, al contrario del cognome originario “Elisei” confermato da un diretto interessato e sufficientemente documentato dagli archivi fiorentini. Dai quali, inoltre, apprendiamo che Alighiero II, un padre di cui Dante non parla mai (che strano!), sposa in prime nozze Bella degli Abati (sta per Gabriella), che muore qualche anno dopo la nascita del primo figlio, Dante; in seconde nozze, invece, Alighiero prende Lapa Cialuffi, da cui avrà Francesco e Tana (Gaetana). Dante, però, come suo “babbo”, è recidivo: infatti, chiama i figli Giovanni, Piero, Jacopo ed Antonia; a nessuno dei quattro impone il nome di un nonno o di una nonna! Ma non sono, recidivi, i suoi figli: Pietro, il secondogenito, ha numerosi eredi di cui tre portano nomi di famiglia, Alighiera, Gemma e Dante II (morto il 1428). Negli anni seguenti i nomi di famiglia si manterranno sino all’estinzione degli Alighieri propriamente detti, ufficialmente avvenuta nel 1558, quando confluiscono nella famiglia dei conti Serègo – Alighieri (produttori di ottimo vino nell’azienda di Gargagnago, in provincia di Verona, la zona del Valpolicella). A complicare le cose, a questo punto, si aggiunge che Dante cita, maledicendolo e condannandolo senza appello come traditore politico, un sicuro parente per parte di madre, Bocca degli Abati, ed un altro, Geri del Bello (diminutivo da Aligieri?), cugino di suo padre, come seminatore di discordie civili; inoltre, disprezza ed odia un procugino della moglie, Corso Donati, pur intrattenendo ottima amicizia con il di lui fratello, Forese, e stimandone molto la di loro sorella, Piccarda (continuano i bei nomi dei bei tempi …). Infine, recupera, forse involontariamente, pure una lontana parentela con Francesca da Polenta, zia di Guido Novello, il signore di Ravenna, che ospita l’Alighieri negli ultimi tre anni di vita: la madre della famosa amante di Paolo Malatesta era, infatti, una Fontana – Aldaghieri di Ferrara, nobile famiglia che, ancora nel Cinquecento, vantava un legame di parentela con il Sommo Poeta. Insomma, parenti serpenti? Meglio stare alla larga, quindi? Non poi tanto, almeno sul piano della famiglia stretta, se è vero che nel canto XXIV del Paradiso Dante incontra (nel Cielo delle Stelle Fisse fra gli Spiriti trionfanti) san Pietro, san Giovanni e san Jacopo (alias Giacomo), che lo interrogano rispettivamente sulla Fede, sulla Speranza e sulla Carità, per verificare il suo possesso dei requisiti necessari all’imminente visio Dei. Guarda caso i tre santi hanno i nomi dei tre figli del Poeta … Manca all’appello la quarta figlia, Antonia, annoterebbe qualcuno molto attento. Non c’è da preoccuparsi: nel XXIX canto del Paradiso Dante celebra sant’Antonio abate: ma è un maschio! vien da obiettare. Sì, però, è il fondatore del monachesimo. Ed, infatti, Antonia Alighieri si era monacata, ancor giovane, a Ravenna nel convento delle Olivetane in cui Boccaccio la incontrerà un paio di volte in altrettante missioni diplomatiche a Ravenna. Città dove Antonia, morta ultrasettantenne dopo il 1371, è ricordata da una lapide (restaurata dal locale Rotary Club nel 2019) col nome assunto da religiosa. Suor Beatrice (toh, ma guarda!).