di Lara Carbonara
Mio cuore
Pezzo di vetro
Guardando attraverso
vedo un poco distorto
Quello che perdo
Quello che ho dentro
Il nuovo
Che sento già pronto
Silvia Vecchini
Un pezzettino di vetro consumato dall’acqua di mare. L’antico gioco che si ripete da sempre: trovare un frammento verde o bianco trasparente, portarlo agli occhi e cercare di guardare il cielo attraverso il vetro. Cosa vedete? Vedo sfumature, vedo tutto sfocato. Cosa sentite? Sento il rumore delle correnti profonde, la forza di quelle superficiali, gli infiniti movimenti che hanno consumato questo vetro, l’hanno smussato, modellato, addolcito.
A partire da una poesia – Vetro- di Silvia Vecchini “guardando attraverso, quello che ho dentro, il nuovo che sento già pronto”, la docente di lettere Lara Carbonara discorre con i ragazzi di terza del Benjamin Franklin Institute della consapevolezza di diventare grandi. I ragazzi hanno riflettuto sul loro percorso, sui tre anni di metamorfosi adolescenziale, sui passi in avanti che hanno compiuto attraverso l’innocenza di un gioco infantile, che tutti prima o poi hanno provato: il vetro consumato dall’acqua diventa il simbolo delle loro vite levigate dall’esperienza, dalle amicizie, dagli insegnamenti, diventa un espediente per scavare nella loro quotidianità, diventa un motivo per fermare il tempo inesorabile. Così i ragazzi, con un vetro in mano da cui osservare il cielo, hanno incominciato a farsi domande, a darsi risposte, a chiedersi chi si vuole diventare, a capire a che punto si è, per riscoprirsi sempre se stessi ma profondamente diversi.
Un’esperienza di studio di flusso di coscienza a partire da un ricordo d’infanzia reale: il pezzettino di vetro trovato in spiaggia. All’inizio i ragazzi sono stati scettici, hanno contestato – da ottimi adolescenti – poi hanno incominciato a scrivere, a liberarsi, a vedere il foglio come specchio. Hanno raccontato delle loro cadute, delle loro insicurezze, del buio di cui hanno paura e della solitudine in cui si sentono abbandonati. Una commozione liberatoria, una commozione felice perché questi ragazzi così fragili e così delicati hanno solo bisogno di essere guardati, hanno bisogno che qualcuno li tiri fuori dall’anonimato e dall’omologazione, hanno bisogno che qualcuno abbracci le loro fragilità. Perché senza questi occhi che li guardano non possono crescere fin dalle radici. Non si può essere stelo, fiori e frutto.
Liberarsi ai ragazzi è piaciuto. Conserveranno questo pezzettino di vetro come promemoria in un angolo segreto della loro mente; e d’ora in poi, quando troveranno un pezzo di vetro mentre camminano sulla spiaggia, ripenseranno a quanto scritto, soprattutto a questo momento di crescita incerto, a come lo affronteranno, a come si spingeranno oltre, a come si leccheranno le ferite, perché “crescere a volte è proprio un gran delirio” come qualcuno di loro ha scritto.