Giorni fa mi è capitato di leggere un articolo in cui si ripercorreva parallelamente la storia della criminalità organizzata a Napoli e Marsiglia. Il saggio era contenuto in un numero di di Limes, rivista italiana di geopolitica, che in quella pubblicazione trattava della situazione delle periferie italiane. L’autore dell’articolo era Isaia Sales, saggista e politico italiano, oltre che professore di “Storia della criminalità organizzata nel Mezzogiorno d’Italia” presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Quando l’ho scoperto mi è venuto un colpo. Devo essere sincero, nonostante sia studente di storia presso l’università “Aldo Moro” di Bari, non avevo la benchè minima idea dell’esistenza di un tale insegnamento nelle altre università italiane. Al che mi son chiesto: una cattedra in storia delle mafie, perchè no anche da noi? E con “noi” intendo gli studenti non solo del mio corso di laurea, ma anche di lettere (nei suoi vari indirizzi) e filosofia, o comunque di chi in futuro avrà la possibilità di portare le conoscenze apprese fra i banchi di scuola in veste di professore.
Prendiamo per esempio il mio piano di studi: esso prevede, nei diversi anni, una serie di insegnamenti obbligatori e facoltativi. Questi ultimi sono particolarmente numerosi al secondo e al terzo anno, per cui in sostanza è lo studente a scegliere da una lista, in base alla difficoltà o ai propri interessi, quali esami dare. Ad esempio fra i facoltativi compare storia della scienza oppure storia della filosofia (1,2,3, in base al periodo storico che interessa studiare). Una situazione simile si presenta anche per gli altri corsi di laurea, nello specifico lettere e filosofia. A questo punto mi chiedo: non sarebbe forse opportuno, se non più sensato ed utile, sostituire ad uno di questi insegnamenti facoltativi un esame obbligatorio che preveda lo studio della mafia e della criminalità organizzata, relativa specificatamente al Sud Italia?
A cosa mi serve mandare a memoria le diverse applicazioni della triade dialettica hegeliana se conosco a malapena cos’è la Sacra Corona Unita e il ruolo che ha svolto nella storia pugliese? A cosa mi serve sapere come veniva condita la carne di porco dai nobili del medioevo senza aver mai sentito nulla sulla camorra barese o sulla società foggiana? A cosa mi serve memorizzare la data della prima rappresentazione teatrale a Roma senza sapere chi sono i clan Strisciuglio, Capriati, Rizzo e dove operano? E’ ovvio che siamo all’assurdo di un sistema di istruzione sempre più distaccato dalla realtà e dai problemi contemporanei, rimasto a crogiolarsi in quelle che sono vecchie esercitazioni accademiche prive di senso e autoreferenziali, quando ci sarebbero temi molto più urgenti e di immediata praticità. Il tutto a danno non solo degli stessi studenti, che si sentono sempre più demotivati e disillusi, costretti a sbattere la testa su concetti magari di secondo piano, ma anche della percezione generale delle facoltà umanistiche che sembrano non riuscire a venir fuori dal complesso di inferiorità che le vede rispetto alle “vere scienze”.
Si presti però attenzione che qui non si ha assolutamente la presunzione di fare una gerarchia dei saperi, perchè tutto può tornare utile nella formazione di uno storico, un filosofo o di un futuro giornalista. Invece si sta semplicemente sottolineando come la storia della mafia, in particolare quelle pugliesi, sia assolutamente necessaria nel percorso formativo di quelli che saranno i professori del futuro. Mafie e crimine organizzato, assieme ad evasione fiscale e corruzione, succhiano miliardi di euro che potrebbero essere spesi per alleviare il carico fiscale o per nuovi investimenti. L’omertà e il silenzio su temi scottanti come quelli legati alle vicende di mafia sono la linfa vitale di cui si nutrono queste organizzazioni criminali. Portare questo insegnamento nelle aule universitarie significa investire nella civilità del presente e del futuro.