Due le facce di una stessa medaglia: il controllo della piazza dello spaccio bitontino.
A farne le spese, Vito Napoli prima e Giuseppe Dellino poi, vittime di omicidio nell’ambito guerrigliero tra clan Conte – Cassano e quello barese degli Striscuglio, che trova nel nostro territorio un’appetibile zona d’influenza.
Ma andiamo a ritroso. Piena estate 2007, gli Striscuglio portano a termine le prime due esecuzioni ai danni del clan avverso: la prima il 20 luglio, l’altra pochi giorni dopo per porre termine alla vita di uno dei loro, che aveva partecipato al primo agguato, ritenuto ormai inaffidabile dai suoi stessi compagni.
Dopo sei anni i carabinieri, su disposizione della direzione distrettuale antimafia di Bari, hanno arrestato tre persone: Giosuè Perrelli 32 anni, Salvatore Ficarelli 27 anni e Giuseppe Digiacomantonio 24 anni, maggiorenne appena da due mesi all’epoca dei fatti.
Già detenuti per altri reati, sono accusati a vario titolo di omicidio, tentato omicidio, occultamento di cadavere, porto e detenzione di armi, ricettazione con l’aggravante di aver agito mediante l’eliminazione fisica di presunti appartenenti a gruppi criminali avversari al fine di agevolare l’attività dell’associazione per delinquere di stampo mafioso degli Strisciuglio.
Come accennato, è il pomeriggio del 20 luglio 2007. Domenico Conte, capo dell’omonimo clan, e il 29enne Vito Napoli, elemento di spicco dello stesso clan mafioso, sono a bordo di due scooter, in via Amendolagine a Bitonto. I due vengono affiancati da una Fiat Uno con a bordo quattro individui che, poi, li insegue. Piovono colpi di mitraglietta contro i due sorvegliati speciali: Conte, vero obiettivo, fugge, Napoli lascerà la sua vita su quella strada.
I quattro a bordo dell’auto, dalla ricostruzione dei carabinieri, sono Digiacomantonio e Ficarelli (due dei tre arrestati), Giuseppe Ladisa (morto suicida nel carcere di san Severo nel 2009) e il 29enne Giuseppe Dellino, alla guida dell’auto a cui però toccherà una triste sorte pochi giorni dopo.
Infatti, i carabinieri, riescono ad individuare l’auto usata per l’agguato intestata al Dellino e si mettono sulle tracce del giovane.
Qualcuno diventa, così, di troppo. Il 29 enne è considerato dal gruppo inaffidabile, debole – in tutti i sensi – poiché anche malato di sclerosi multipla.
L’assassino, mandante del primo omicidio, luogotenente degli Strisciuglio nella zona bitontina, poi diventato collaboratore di giustizia, aiuta a chiudere il cerchio ai carabinieri.
Dellino viene trasportato e rifugiato presso una casa tra Noicattaro e Triggiano per poi fargli compiere un ultimo viaggio.
Quello verso Bitonto, in un casolare nelle campagne tra Palombaio e Bitonto. Verrà brutalmente ucciso con un colpo di pistola alla testa per mano del (terzo arresto) Giosuè Perrelli diventato l’uomo di fiducia del capo.
Con l’aiuto di Digiacomantonio si occupa di occultare il corpo, gettandolo in un pozzo: sarà ritrovato solo sei anni dopo, lo scorso 13 luglio.
Il corpo è stato riconosciuto dagli occhiali da vista del ragazzo, dall’abbigliamento e dalla degenerazione ossea dovuta alla sla.
La madre del 29enne continuerà ancora a far finire la sua domanda nella vuota eco di quel pozzo, quando continuamente chiedeva “Lo zì ma ce fin iè fatt Giuseppe, quando torna?” e la risposta arrivava secca: “Stè bun”.
Sicuramente, lassù, meglio di come stava quaggiù…