Quale è il futuro della filiera olivicola pugliese e italiana in un mondo sempre più globalizzato e pieno di sfide? Cosa devono fare i produttori nostrani per entrare in mercati spesso inaccessibili per piccole imprese?
Di questo e di tanto altro si è parlato ieri a Giovinazzo, dove si sono riuniti i vertici della filiera olivicola nazionale per discutere di valorizzazione e promozione dell’olio d’oliva.
Promozione da intendersi anche e soprattutto al di là dei confini regionali e nazionali, perché, come ha sottolineato il giornalista Enzo Magistà, moderatore dell’evento, i veri mercati sono lì.
«Il settore olivicolo ha molte potenzialità poco sfruttate. Un po’ come quando a scuola, ai colloqui tra genitori e insegnanti, si dice che il bambino è intelligente ma non si applica» ironizza il direttore di TgNorba24, che espone un altro problema del comparto: «Si produce meno olio ma si consuma di più. Dunque viene da chiedersi quale olio consumiamo».
Interrogativi a cui rispondono i vari ospiti a partire da Gaetano Bonasia, direttore tecnico dell’organizzazione di produttori Oliveti Terra di Bari, che ha illustrato le iniziative avviate in questi anni per aiutare i produttori (come Pivolio e Itinerolio) e costituire una sorta di “carta di identità” del nostro olio, che mostri componenti chimici, caratteristiche, peculiarità e benefici per l’organismo.
Ma allo stato attuale la produzione italiana è in crisi, insieme a quella greca. È la Spagna leader del settore, con una produzione del 63%. Lo riferisce Pierpaolo Iannone, responsabile tecnico del Consorzio Nazionale Olivicoltori, evidenziando al contempo l’aumento dei consumi in Europa e in altri mercati, come Giappone, Stati Uniti, Russia e Cina: «Aumenti di produzione a cui non riusciamo a stare dietro. È la Spagna a soddisfare al momento questo aumento dei consumi. Il sistema olivicolo italiano deve credere di più in se stesso e investire. Bisogna pensare ad un nuovo modo di concepire l’olivicoltura, in modo da attrarre giovani, che attualmente scarseggiano. Altrimenti il mercato crescerà e noi non ci saremo. Dobbiamo pensare a creare opportunità, puntando sulla qualità, su colture intensive, ma non superintensive che mal si conciliano con le caratteristiche italiane. Non pensiamo a raddoppiare la produzione solo abbattendo i costi di produzione e quindi i diritti di chi lavora. Bisogna puntare sulla qualità ed è possibile farlo solo se si ha professionalità, sia da parte dei produttori che dei frantoi che, nonostante siano indispensabili, se poco professionali possono rovinare tutto. Dunque c’è bisogno di formazione».
«La cosa più importante è fare sistema e puntare ad un prodotto d’eccellenza». Ne è convinto Gennaro Sicolo, Presidente di Oliveti Terra di Bari, che tuttavia ammette che, nonostante le molte potenzialità, non ci sono prospettive di investimenti e occupazione, soprattutto per i giovani: «Stiamo lavorando per invertire questo stato di cose. Da anni abbiamo intrapreso a livello nazionale con il Consorzio Nazionale Olivicoltori e a livello locale con Oliveti Terra di Bari un percorso che mira a valorizzare gli olivicoltori e la qualità del prodotto italiano. C’è fiducia e riteniamo che ci siano prospettive future importanti per l’economia olivicola. Ma c’è da affrontare il problema della grande distribuzione, che uccide i produttori continuando a vendere sottocosto. Oggi i grandi distributori sono i grandi assenti. Urge sedersi al tavolo anche con loro».
Da parte di Sicolo un appello anche ai produttori a non vendere le olive: «Fate del male al settore. Fate uscire ricchezza».
Dello stesso parere anche David Granieri, Presidente della Filiera Olivicola Olearia Italiana, che indica la semplificazione burocratica come un fattore chiave per lo sviluppo del settore.
Sull’importanza dell’unione punta anche Giovanni Zucchi, tra i principali industriali dell’olio in Italia, che sottolinea l’importanza degli accordi di filiera per proporsi efficacemente sui mercati internazionali: «Bisogna continuare sulla strada della qualità e della tracciabilità del prodotto che gli accordi di filiera, in grado di unire organizzazioni di produttori e industria, possono garantire. Anche perché in molti paesi, come in Giappone, hanno legislazioni più restrittive in materia di residui di fitofarmaci e richiedono olio extravergine d’oliva italiano puro».
Benedetto Fracchiolla, presidente di Finoliva Global Service, torna sul bisogno di unione e di professionalizzazione, perché per vendere e vincere una concorrenza mondiale è necessario avere gli strumenti giusti, a partire da un deposito dove conservare il prodotto: «Finora è stato svolto un buon lavoro dalle strutture consortili, ma c’è ancora tanto da fare per arrivare in tutta la grande distribuzione».
Attenzione, da parte degli intervenuti, anche ai diritti di chi lavora, perché la concorrenza dovrebbe essere sulla qualità offerta, non sull’abbattimento dei costi di produzione e dei diritti. Lo ribadisce con parole forti Giuseppe Gesmundo, segretario generale della Cgil Puglia, ricordando Paola Clemente, la bracciante morta di fatica nelle campagne andriesi nel 2015: «Non dobbiamo competere con chi sfrutta gli schiavi».
A lanciare un appello al mondo politico è Dino Scanavino, presidente nazionale della Confederazione Italiana Agricoltori: «La filiera deve tutelare chi lavora ogni giorno, perché gli agricoltori da soli non possono sopportare questioni climatiche o problemi di altra natura. Noi vogliamo seguire le regole, ma queste devono permetterci di lavorare, devono garantirci stabilità. In agricoltura c’è bisogno di flessibilità. Sono certo che la stragrande maggioranza degli agricoltori pugliesi non si affida al caporalato. Va detto di fronte a narrazioni della regioni a senso unico».
Non poteva mancare anche una menzione al problema Xylella: «Non ascoltate chi propone soluzioni alternative a quelle scientifiche. Finora hanno solo prodotto disastri. È una malattia conosciuta in tutto il mondo e si sconfigge col la scienza, isolando e abbattendo gli alberi infetti».
Agli appelli alla politica risponde, infine, il senatore Dario Stefano: «La politica c’è quando è in grado di dare segnali. E un segnale importante è stata la legge contro il caporalato. È necessario accompagnare i produttori, ma non con le logiche di cento anni fa. Dovete associarvi, e sfruttare i vantaggi offerti dalla tecnologia. Un piccolo produttore da solo non avrà mai le risorse finanziarie per accedere ai mercati globali. Ma unirsi non significa produrre con un unico marchio italiano. Dobbiamo riconoscere le diverse peculiarità regionali, non omologarci. Se la Puglia vince è proprio per le sue caratteristiche, per le sue unicità. E dobbiamo avere cognizione dei nostri obiettivi in ogni livello. Dal produttore che non deve vendere le olive, provocando un depauperamento del settore, ai ristoratori. Al posto di mettere bei fiori sui tavoli, metteteci una bottiglia di olio pugliese».
Il consiglio finale di Stefano al mondo olivicolo è: «Fatevi assistere».