È tarda sera ormai, quando nella chiesa “nuova” di Palombaio, un gruppo di nove, forse dieci fedeli, non più giovanissimi, discute animatamente di questo e di quello: si definiscono gli ultimi dettagli del cerimoniale in onore di Maria Ss. Immacolata, la festa ormai imminente (il programma nel dettaglio è nel manifesto pubblicato a corredo dell’articolo), che cadrà Domenica, 28 Agosto, nella Frazione bitontina.
La rinata statua ottocentesca dell’Immacolata, opera del Pedace, è lì che si staglia sullo sfondo della spaziosa chiesa, quasi a presiedere, vegliarda, all’ultima, faticosa riunione dei suoi fedeli, prima dei solenni festeggiamenti.
Il sudore che imperla la fronte degli organizzatori, l’ansia che si legge sui volti senza necessità di soverchia indagine, la concitazione palpabile degli animi: fervono i preparativi. Ma che senso ha tutto questo, oggi? Perché “spendersi” per tenere accesa la fiammella di una ritualità locale, sacra e festaiola, che arranca dietro l’incedere senza posa di modernizzazione, industrializzazione, globalizzazione? Nella temperie morale d’oggigiorno, in cui ogni segno di Dio, ogni pia immagine sulla terra, ogni croce, ogni timida chiesa paiono galleggiare sul frigido lago della secolare diffidenza, i santi e gli angeli sono bizzarre comparse e persino la Vergine Maria non gode di buona stampa. Pur in tal contesto, la mobilità, le comunicazioni di massa, le ineffabili riforme liturgiche del Concilio Vaticano II non sono ancora riuscite ad espungere riti e feste religiose dalla memoria popolare e dal tempo: ecco, allora, l’insolenza dei nostri organizzatori, la demistificazione di una tradizione gelosa dei suoi ricordi e del suo culto, la profetica sospensione del quotidiano razionale per farvi irrompere il sacro.
Con Padre Fulvio Procino, parroco a Palombaio e organizzatore, quivi, delle celebrazioni mariane, è facile entrare in empatia lungo le linee incerte di un dubbio di fede o di una insistente riserva. Ed è doveroso “girargli” alcune perplessità:
Il senso, oggi, di una festa di paese. Perché impegnarsi nella sua organizzazione?
L’appuntamento annuale con la festa patronale, porta con sé vari significati, sentimenti, emozioni. Certamente, per i più anziani, diventa la rievocazione della memoria storica, quasi un ricollegarsi con le proprie origini.
Per le persone di una fascia di mezzo, come potrebbero essere i cinquantenni c’è un miscuglio di sentimenti, tra ciò che mi è stato consegnato e il disagio su ciò che sembra non appartenermi più. I più giovani, credo non prendano in considerazione tale appuntamento definendolo appannaggio dei “boomer” di coloro che considerano vecchi. E pure, io per primo, ne avverto l’importanza! Perché impegnarsi nell’organizzazione di una festa che sembra essere ormai fuori dal tempo? La mia riflessione e la mia motivazione parte da alcuni presupposti che sono menzionati sopra: L’origine o il senso di appartenenza e il ciò che mi è stato consegnato. Mi spiego, o perlomeno ci provo. Per me sacerdote è importante ricollegare la memoria al memoriale, il memoriale alla Tradizione. La memoria (origine delle cose) mi permette di sentire le cose passate come belle e importanti, mi fa avvertire il collegamento, l’unione con le cose passate. Ma una memoria di questo genere ha breve durata, proprio per questo mi sforzo di aiutare i fratelli a purificare la memoria per far emergere, da questa ciò che veramente è importante e cioè il memoriale, vale a dire la riattualizzazione dell’evento, del fatto che ha portato i nostri padri a guardare, in questo caso a Maria, quale mediatrice di grazia. Proprio questa riattualizzazione mi permette di indicare la Tradizione, cioè riscoprire ciò che mi è stato consegnato per viverlo nella pienezza del mio oggi. Per me parroco, la festa patronale diventa l’occasione per riproporre la fede come cammino, come necessità per l’uomo di riscoprirsi figlio del Padre.
Che cosa unisce in una festa paesana? Identità, senso di appartenenza?
Certamente una festa rinsalda rapporti, identità, appartenenza, specie in un momento dove, causa pandemia e freneticità della conduzione della propria vita, ognuno di noi tende ad isolarsi e a vivere piccole e grandi derive personali.
La festa si propone come “luogo” di incontro altro, dove non importa chi sei o che fai ma hai la possibilità, insieme con me di guardare ad una proposta, un modello che ti invita ad uscire dalla tua isola.
I giovani e la festa, tra globalizzazione e tradizione locale. Quale linguaggio utilizzare?
Certamente la grande conquista e, nello stesso tempo scommessa, della globalizzazione deve interrogarci su come proporre la Tradizione che non può essere ridotta al dato tradizionale (tradizionalismo).
La prima globalizzazione è la stessa cattolicità (cattolico-universale). Credo che dobbiamo imparare tutti un rinnovato senso di stupore, è questo che ci aprirà il mondo dei cuori. I nostri giovani, che soffrono dei frutti del disincanto di noi adulti hanno necessità di menti e cuori che non propongano loro chissà quali modelli, o nuove illusioni, ma che spronino loro a un rinnovato stupore. E lo stupore primo, per me, è quello di scoprirmi amato, non in quanto amabile, ma come dono gratuito dell’altro, dell’Altro.