Finisce
un’epoca. È proprio il caso di dirlo.
Quella
dei burleschi – e a volte un po’ fastidiosi – scherzi telefonici.
Oppure delle chiamate alla compagna o al compagno, all’amico del
cuore o magari all’amante.
O,
ancora, delle semplici e brevissime telefonate per segnalare un breve
ma inevitabile ritardo. Un pezzo della nostra vita a suo modo memorabile è stato scritto fra quelle ristrette e perciò rassicuranti pareti.
Tutto
rigorosamente fatto dai telefoni pubblici. Quelle cabine telefoniche
che entro la fine dell’anno dovranno scomparire dallo Stivale.
Già,
perché il dado sembra essere tratto: la Telecom ha tempo fino al 31
dicembre per farle fuori. Il programma si chiama “di
riordino e pulizia”
ed è basato sulle indicazioni dell’Autorità garante delle
comunicazioni (Agcom).
Si
finisce di scrivere una pagina di storia, si diceva.
Quella
iniziata nei primissimi anni ’50, quando la cabina telefonica è uno
dei simboli di quell’Italia che si lascia alle spalle le scorie e
le macerie della guerra al nazifascismo e sta per abbracciare il boom
economico. È costruita in metallo e in vetro.
Poi,
negli anni ’80, è sostituita dai chioschi aperti dotati di telefono
per
garantire un accesso più facile ai portatori di handicap.
E dalla moneta (o dal gettone, fate voi) si passa alle schede
prepagate, o a quelle telefoniche, che ben presto diventano una sfida
al collezionismo più sfrenato.
Dagli
anni 2000, però, è la tecnologia che inizia a infliggere i colpi
mortali ai telefoni pubblici.
C’è
il boom dei telefonini, sempre più sofisticati e sempre più a
portata di tutti.
C’è
l’avvento delle promozioni super vantaggiose per chiamare, inviare
messaggi e navigare in Internet.
C’è
l’esplosione delle app di messaggistica gratuita: whatsapp, line,
Facebook messenger, viber, e altre.
Ergo:
le cabine telefoniche non avrebbero più ragione di esistere. E vanno
rimosse.
Anche
a Bitonto, certo. Si vedano, per esempio, il telefono pubblico di via
Matteotti e quello di corso Vittorio Emanuele.
I
cittadini, però, possono salvarle. Peccato però che il metodo sia
una partita di giro. Entro il 16 maggio, infatti, chi vuole far
restarle in vita deve inviare una posta elettronica certificata (Pec)
all’indirizzo cabinatelefonica@cert.agcom.itindicando i suoi dati, l’indirizzo della cabina e le motivazioni
della richiesta.
Già,
ma chi si attiverà concretamente per salvare due solinghi e
abbandonati telefoni pubblici? Se il silenzio sarà assordante, dal
16 giugno saranno disattivati.
Con
buona pace di tutti. Cosa accadrà quando si dovrà recitare il de
profundis alle altre cabine?
In
tutto questo, c’è anche una buona notizia: la Telecom ha deciso di
salvare gli impianti
nei “punti di rilevanza sociale”:
ospedali, carceri, scuole, stazioni.
Bene.
Ma un colpo alla storia è comunque ben inferto.