Una Basilica dei Santi Medici gremita di gente ha ospitato ieri sera a Bitonto Don Luigi Ciotti, il noto prete antimafia ispiratore e fondatore dapprima del Gruppo Abele, finalizzata all’aiuto ai tossicodipendenti e a chi è affetto da dipendenze varie, e poi dell’Associazione Libera che si pone come impegno la lotta alle mafie in tutta Italia.
“La religione non può accettare compromessi di alcun tipo. Tra Vangelo e mafia c’è incompatibilità assoluta” afferma Don Ciccio Savino, parroco della Basilica, che ha accolto il religioso di Pieve di Cadore, insieme al presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia Valentino Losito.
“La lotta alla mafia è una storia di lotte fatte da uomini soli, da parroci, come Don Peppino Diana e Don Pino Puglisi, o anche da giornalisti come Giancarlo Siani” continua Losito, che ricordando le parole del ministro Alfano, il quale qualche giorno fa si era detto preoccupato dalla criminalità bitontina, chiede: “Come si può passare dalla solitudine dell’antimafia alla moltitudine dell’antimafia?”.
E, sottolineando come gli eventi religiosi vedano spesso incursioni da parte della malavita, “a cominciare dalla partecipazione alla processione dei Santi Medici, fino ai casi di inchino davanti alle case dei boss”, prosegue: “C’è bisogno che la Chiesa prenda una posizione forte. Sta marciando nella posizione indicata da Papa Francesco o le strutture intermedie marciano ancora in una posizione attendista? Bergoglio è un papa solo?”.
“Mi sento sempre più piccolo e fragile di fronte alla sofferenza, alla povertà, che colpiscono una larga parte della popolazione. Un milione e mezzo di bambini in Italia vivono in una situazione di povertà assoluta. 8 milioni di persone lamentano un disagio lavorativo, dovuto a disoccupazione o precarietà. C’è un diffuso analfabetismo di ritorno – denuncia don Ciotti – Ma non dobbiamo fuggire. Bisogna essere capaci di riconoscere e promuovere il bene che c’è intorno a noi. Accogliamo il bene: sosteniamolo, valorizziamolo perché non fa mai rumore. La speranza è la consapevolezza che solo unendo le forze si cambia. Non è opera di navigatori solitari. Più alleanza reciproca, fiducia, stupore. Ci vuole il coraggio dell’umiltà, di riconoscere gli errori. E se trovate qualcuno che ha capito tutto e sa tutto, salutatemelo e cambiate strada. I dubbi sono più sani delle certezze”.
Per il sacerdote due sono gli strumenti per promuovere il bene. Il primo è la speranza, che si manifesta nella possibilità di un progetto e nel volto di chi fa più fatica, negli ultimi, negli esclusi, nei poveri, negli ammalati: “Dobbiamo partire da loro. Trasformare la denuncia per costruire giustizia. Non dobbiamo essere cittadini ad intermittenza, non basta commuoversi davanti alle tragedie, ma dobbiamo muoverci di più, tutti. La prima riforma da fare è quella delle nostre coscienze. Dobbiamo guardarci dentro perché la verità passeggia per le nostre città. E vi prego, non venite in chiesa a pregare i Santi se poi non vi impegnate a liberare chi libero non è. Chi è povero, solo, non è libero. La criminalità non ci rende liberi, le ragazze sulle strade non sono libere: la libertà è un diritto che Dio stesso ha voluto per la gente“.
E, citando Don Tonino Bello, dice: “Non fidatevi dei cristiani che non incidono la crosta della civiltà: il cristiano vero è l’autentico sovversivo non per modo, maniera, ma per impegnare la vostra vita. La carità che lasciail povero così come è non è sufficiente“.
Il secondo strumento è la responsabilità: “Cedere alla nostra responsabilità è rinunciare alla nostra libertà. Dobbiamo imparare il coraggio di fare scelte scomode e di rifiutare i compromessi. Capiterà anche a voi di trovare dei bivi e decidere da che parte stare. Io sto da una parte sola, dalla parte della legalità, della libertà, dei diritti, della giustizia, della vita. Ragazzi, vi auguro di riempire la vostra vita di vita e significato e di non lasciarvi vivere“.
Ma prima di riconoscere il bene e il male nella società, per il fondatore di Libera, è importante riconoscerli dentro di noi. “In ognuno di noi c’è del positivo e del negativo” spiega, ricordando le parole di Rita Atria, giovane collaboratrice di giustizia suicidatasi dopo la morte di Borsellino: “Prima di combattere la mafia intorno a noi, dobbiamo sconfiggere quella che c’è in noi stessi”.
“Non dobbiamo esaltarci nelle gioie e deprimerci nelle difficoltà. Evitiamo di cedere alla rassegnazione. Quanti rassegnati di ieri sono i cinici di oggi che credono solo a se stessi. Ma rifuggiamo anche dalla pericolosa tentazione dell’indignazione fine a se stessa”.
E, concludendo sul ruolo della politica, sottolinea: “La politica è una vocazione altissima, una delle forme più alte forme di carità, perché è il servizio per il bene comune, come dice Papa Francesco. L’indignazione si cura dando dignità al lavoro, alle famiglie, alla sanità, alla scuola, alla democrazia”.