Oh, se me lo ricordo Michele Lamberti, stellante pedatore imberbe che si involava sulla fascia come un acrobata in bilico sopra fili d’erba. Tecnica alessandrina e lieve rapidità, era un’ala inafferrabile. Fu leoncello all’alba degli anni Duemila, quando vestivano la casacca neroverde campioni assoluti come il dispensatore di perle Chicco Agostonelli, la reincarnazione di Euclide Giulio Mastrolonardo, il maratoneta instancabile e onesto Vito Graziosi, il genio brado del gol Vincenzo Ferrante, il rubesto play Gino D’Addabbo, il prodigioso portierino Alfredo Piarulli, l’eterna bandiera Nico Roselli. Era il Bitonto che, con fatica consueta e ostinata speranza, stava provando ha risalire l’ennesima china per salire e poi scendere di nuovo dall’altare del pallone che conta. Michele era nato a Santo Spirito e aveva mosso i primi passi nel mondo del calcio nella Pro Inter con un tale Antonio Cassano, poi era diventato un idolo del cuoio dilettantistico locale, con vette a Ostuni e Laterza, dopo che a Putignano era stato il prediletto del pluripallico sergente Muzio Di Venere, il mister del Triplete nostro. Lamberti svariava su tutto il fronte d’attacco, secondo estro e fantasia. Con le sue giocate, ha inebriato folle tifosi e ispirato ragazzini che sognavano di diventare calciatori. Appesi al famoso chiodo gli scarpini, Michele faceva il tipografo a Palo del colle – ma forte restava il legame con la nostra città – con la serietà e la simpatia che lo hanno sempre contraddistinto. Poi, quattro anni fa, qualche mese dopo la nascita del suo piccolo, la drammatica sentenza medica, quasi casuale: leucemia. Il buio del coma, la luce ridonatagli da un giovane neurochirurgo coraggioso, il ciclo di chemio. Insomma, tutta la trafila che fa di un uomo un eroe che sfida la maledetta “Dama con i denti verdi”. E Michele sembrava avercela fatta. Aveva recuperato il sorriso, era pronto per rientrare nel giro calcistico, non prima di aver ringraziato chi lo aveva salvato. Ne avevano raccolte le commosse confessioni i colleghi Antonio Loconte e Antonio Gargano. Ma la Spoon River di quella sfera gonfia di vento inesorabile stava aspettando la sua lapide. Resta l’altezza invitta del suo esempio, certo, ma è sempre un’ingiustizia assurda: a soli 38 anni. Le lacrime sincere di Michele: “Oggi, ho perso un amico carissimo. Sono distrutto”. Le delicate parole dello scrittore Emanuele: “Resterai sempre quel bambino che col pallone, troppo grande per un giocatore così piccolo, mi incantava e mi teneva attaccato alle panchine di piazza San Francesco per ammirarti. Creavi scompiglio fra gli avversari e poi assestavi quei tiri così calibrati che il pallone, grande, saettava con una velocità impressionante. Così, in seguito, ho visto fare solo ai campioni professionisti.
Eroe, tu li hai superati tutti”. Il saluto pieno di affetto e dolore di Nicola: “Chissà se affascinerai anche Diego e Pablito in Paradiso con i tuoi racconti e prenderai in giro anche loro. Impossibile non amarti, impossibile non aver imparato da te, impossibile aver amato ogni attimo di vita più di te. Impossibile essere come te. Ora puoi riposare in pace anche se non doveva andare così. Addio e Grazie Campione”. E Michele non smetterà di volare in bilico sopra un filo di nuvole per farsi angelo custode del suo cucciolo e di tutti coloro che lo hanno amato quaggiù…