DI FRANCESCO RUTIGLIANO
ll tema della responsabilità datoriale per infortunio sul lavoro sconta le difficoltà connesse al complesso sistema di fonti normative che incidono sui rapporti privati tra datore e prestatore di lavoro, nonché alla pluralità di rami dell’ordinamento – previdenziale, penale, civile – che avvolgono la sicurezza sul lavoro, chiamando il giudicante al non facile compito di tenere ben separati i principi e le funzioni che connotano ciascun ambito normativo.
L’art. 2087 c.c. assolve la funzione di completamento del sistema di prevenzione, consentendo di integrare il corpus delle misure tecniche di cautela già individuate con quelle che, pur non essendo esplicitate dalla legislazione, debbono ritenersi necessarie per tutelare il lavoratore, purché individuabili ex ante sulla base delle conoscenze tecniche disponibili (c.d. cautele innominate).
Con Ordinanza n. 36865 del 26 novembre 2021, Sezione lavoro, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui, al di fuori dei casi di rischio c.d. elettivo da parte del lavoratore nei quali la responsabilità datoriale è esclusa, “…quella dell’art. 2087 c.c., non costituisce ipotesi di responsabilità oggettiva e che il lavoratore è onerato della sola prova della “nocività” del lavoro, spettando poi al datore dimostrare di avere adottato tutte le misure cautelari idonee ad impedire l’evento”.
Con il c.d. rischio elettivo è solito riferirsi ai quei comportamenti del lavoratore che assumono, rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, tratti di “abnormità, inopinabilità ed esorbitanza”, in quanto frutto di iniziative arbitrarie ed estranee alle finalità produttive, intraprese volontariamente dal lavoratore in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, che si risolvono nella determinazione di un evento che non presenta con l’attività lavorativa svolta alcun “nesso di derivazione. Non può, peraltro, escludersi che, in materia di infortuni sul lavoro, tralasciando il c.d. rischio elettivo, qualora ricorrano comportamenti colposi del lavoratore, trovi applicazione l’art. 1227, co. 1, c.c..
Difatti, “non può escludersi che il comportamento colposo del lavoratore, autonomamente intrapreso ma tale da non integrare gli estremi del rischio elettivo, possa determinare un concorso di colpa, da regolare ai sensi dell’art. 1227 c.c. allorquando l’evento dannoso non possa dirsi frutto dell’incidenza causale decisiva del solo inadempimento datoriale, ma derivi dalla indissolubile coesistenza di comportamenti colposi di ambo le parti del rapporto di lavoro.
L’inadempimento datoriale agli obblighi di prevenzione non è infatti in sé incompatibile con l’esistenza di un comportamento del lavoratore qualificabile come colposo, in quanto di ciò non vi è traccia negli artt. 2087 e 1227 c.c., né in alcuna altra norma dell’ordinamento”.
Le norme sanciscono l’obbligo del lavoratore di osservare i doveri di diligenza (art. 2104 c.c.), anche a tutela della propria o altrui incolumità ed è indubbia la sussistenza di tratti del sistema prevenzionistico che coinvolgono anche i lavoratori (v. Cass. pen., sez. IV, 3 marzo 2016, n. 8883), così come è scontato che i rapporti interprivati restino regolati anche dal generalissimo principio di autoresponsabilità per le proprie azioni.
È stato, dunque, affermato che il significato di alcune pregresse massime secondo cui l’inadempimento all’obbligo di protezione è ragione di esclusione del concorso di colpa va correttamente intesa nel senso che, per il particolare assetto che la responsabilità assume nel settore del lavoro, il comportamento incauto della vittima, in quanto al contempo destinataria dei doveri di protezione facenti capo al datore di lavoro (in quanto soggetto che organizza l’ambiente di lavoro), resta, almeno in determinate ipotesi (ordini datoriali indebitamente pericolosi per la salute del lavoratore; impostazione dell’attività lavorativa sulla base di disposizioni illegali e contrarie ad ogni regola di prudenza) privo di rilievo giuridico a fini risarcitori, pur non escludendosi la possibilità, al di fuori di tali ambiti, di un concorso colposo ex art. 1227 c.c. (Cass. civ., sez. lav., n. 30679/2019 cit.).
Secondo la Suprema Corte, la Corte territoriale non si è discostata da questi principi nella misura in cui, analizzando analiticamente le circostanze dell’infortunio, ha rilevato come l’entrata-uscita utilizzata dalla dipendente doveva essere utilizzata solamente in caso di emergenza.
La circostanza era debitamente segnalata con cartello, l’entrata/uscita principale della scuola era stata posta in sicurezza (spalatura della neve e spargimento di sale) e la pericolosità del luogo era nota all’infortunata la quale avrebbe dovuto assumere maggiore prudenza nella scelta del tragitto da compiere e nell’utilizzo di calzature adeguate alle condizioni climatiche di quel periodo. In particolare, di recente è stato chiarito che la responsabilità datoriale si fonda pur sempre «sulla violazione di obblighi di comportamento, a protezione della salute del lavoratore, imposti da fonti legali o suggeriti dalla tecnica, purché concretamente individuati» (Cass. civ., sez. lav., 23 maggio 2019, n. 14066) e, pertanto, la regola di diritto è quella per cui una volta addotta ed individuata una cautela che fosse idonea ad impedire l’evento e che non sia stata attuata, ne resta radicata la responsabilità datoriale.