Chi
vince e chi perde quando un referendum abrogativo non supera il
quorum?
La
domanda è tornata come un mantra anche alle 23,01 di domenica sera,
allorché era chiaro che gli italiani hanno preferito fare altro
piuttosto che esprimersi sulle trivelle, meglio detto sulla durata
delle concessioni di estrazioni di gas e petrolio entro le 12 miglia.
Così
è stato, infatti.
Quelli
che hanno fatto il loro dovere (già, perché andare a votare è un
dovere oltre che un diritto, e ce lo dice la Costituzione) sono stati
poco meno di 15 milioni e mezzo, il 31,2 per cento. In Puglia – una
delle nove Regioni che aveva proposto il quesito referendario –
sono stati il 41,7 per cento.
A
Bitonto si sono recati alle urne poco più di 18mila aventi diritto,
pari al 40,92 per cento.
Ecco,
ed è proprio questo il primo dato che fa riflettere: come poteva
essere possibile che questo referendum potesse superare la grande
muraglia del 50 per cento + uno se neanche le Regioni promotrici
(oltre al tacco d’Italia, c’erano Abruzzo, Molise, Basilicata,
Marche, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria e Campania) lo hanno
fatto? Soltanto in Basilicata, colpita in queste settimana dagli
scandali petrolio e Tempa Rossa, la fatidica soglia è stata
superata, arrivando al 50,2 per cento.
Chi ha
vinto e chi ha perso, allora?
Quando
un referendum – uno degli strumenti di democrazia diretta a
disposizione dei cittadini – è affossato, come è purtroppo prassi
comune negli ultimi anni, a perdere è innanzitutto proprio lei, la
democrazia. Che sembra essere sempre più invisa e indigesta agli
italiani.
E per
questo da rivedere, anche perché “sospesa” da tempo.
A
essere trivellata è stata anche la Costituzione, a dire la
verità già stata schiaffeggiata alla vigilia della
consultazione. Da chi? Dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e
dal presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Il
primo aveva invitato chiaramente a non votare.
Il
secondo, colui che è stato per nove anni “garante” della Carta
fondamentale, ha affermato che astenersi è legittimo. Chiaro
l’invito: andate al mare e godetevelo, finché è pulito. E hanno
calpestato l’articolo 48: “Sono
elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la
maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il
suo esercizio è dovere civico. Il diritto di voto non può essere
limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza
penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla
legge”.
Ripeteranno
la loro posizione a ottobre, quando si voterà per un referendum
consultivo sulla riforma costituzionale?
In
Italia, però, è consentito tutto.
A
essere sconfitta è stata la maggioranza degli italiani. Che, oltre a
privilegiare sempre più l’uomo al comando e gli incantatori di
serpenti, sembra aver perso la leva del cambiamento, della
connessione, dell’interpellanza dal privato al pubblico, di fare le
domande al potere e di pretendere le risposte.
In
compenso, però, ci lamentiamo di tutto e tutti, noi abitanti dello
Stivale, ma quando si tratta di decidere o cambiare, è come se
avessimo il cervello obnubilato. O lo lasciamo sui social network.
“La
Rivoluzione” si fa nelle piazze con il popolo, ma il cambiamento si
fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano. Quella matita,
più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara e più
affilata di un coltello”.
Così
diceva Paolo Borsellino, magistrato fatto saltare in Italia dalla
mafia il 19 luglio 1992.
Quell’arma,
però, è scarica. La matita è senza punta da tempo. E nessuno vuole
temperarla.
Chi
ha vinto, allora? Nessuno, anzi no: le solite compagnie petrolifere.
Ma quello, loro, avevano già trionfato in partenza, perché
avrebbero potuto trivellare fino al termine delle concessioni,
gentilmente regalate dalle Regioni. Tra il 2016 e il 2034.
Ora
possono spingersi anche oltre, perché ostacoli non esistono.