La vita, come la poesia, si dà per barlumi.
Sono improvvisi – e, spesso imprevedibili – lampi di verità che si spalancano dinanzi ai nostri occhi.
E’ un piccolo gesto, un rumorino, una cosa così, che però ti fa riflettere a lungo.
Dunque. L’altra mattina, in perenne trafelata corsa verso la stazione, ho dovuto dribblare un tratto di marciapiede lustro d’acqua.
Ho pensato subito ad un esondante canale di scolo – uno di quelli in rame, sopravvissuto alle consuete razzie di ladri specializzati.
Invece, era una signora che, scopa in mano, aveva ingaggiato una lotta epica con una gomma da masticare ostinatamente attaccata ad un mattone grigio, tanto da essersi sedimentata fra gli interstizi.
Ecco l’attimo rivelatore e rammemorante.
Il profumo di sapone che dolce inondava l’aere, nel suadente dedalo dei vicoli del centro storico, perché le donne nettavano con cura e amore lo spazio antistante il basso in cui vivevano.
Il bene comune spiegato al volgo meglio di qualsiasi altra dotta prolusione.
Quel che è mio è di tutti e quel che è di tutti è anche mio.
E custodirlo è di mia responsabilità.
Ed ho ripensato ai nostri politici, novelli capponi di Renzo – geniale invenzione di don Lisander -, che, all’indomani del grafico sputtanamento in diretta nazionale nell’arena gilettiana, hanno preso a scornarsi simpaticamente a colpi di manifesti e non solo.
Adontati da un decisamente artato e furbo confronto fra impari e, a conti fatti, davvero incommensurabili numeri, hanno reagito scompostamente.
Chi prima, chi dopo, tutti si sono stracciati le vesti.
Magari lanciandosi accuse persino puerili a vicenda.
Frattanto, bitontinamente, il tempo passava, il programma domenicale RAI è andato avanti per a sua strada, come è ovvio che fosse, e i cittadini, indemoniati anzichenò e sempre più in balia del vento dell’antipolitica, una risposta chiara e univoca non l’hanno ancora ricevuta.
Ed è qui che scatta la differenza tra la nostra quotidianità e la metafora manzoniana di cui sopra.
Lì erano i pennuti del Tramaglino a litigare inutilmente e a fare una brutta fine, qui, oggi, sono gli elettori a farla, mentre all’asilo nido “Palazzo” fingono di bisticciarsi e dimenticano che anche se guadagnassero uno ed un solo centesimo (peraltro legittimo), essa moneta arriva direttamente dalle tasche di chi li ha eletti. Ergo, quanto meno se la devono meritare.
E dunque: che fanno le commissioni? Come procede il loro lavoro? Servono a rendere più costruttive le riunioni della massima assise cittadina?
Sarebbe l’immediato riflesso del loro operato sul bene comune.
Ed è per questo che come alto esempio del platonico “tòn agathòn koinòn” preferiamo di gran lunga quella signora che ancora si batte per tenere pulito un fazzoletto di Bitonto…