È
guerra.
Anzi è
guerriglia.
Come la
guerriglia questa gente si nasconde tra di noi, agisce, vive, si ferma per
strada, si muove tranquillamente davanti agli occhi ignari di chi li guarda, di
chi li sfiora gomito a gomito senza rendersi conto che sotto i panni di gente
comune, hanno quello che gli serve ad esercitare il proprio potere: sono
armati, o “accavallati”, come si dice in gergo.
É
guerriglia perché come per la guerriglia non puoi mai sapere dove e come si
nasconde il tuo nemico, guerriglia perché è la forma di guerra più efficace,
silenziosa, attenta, combattuta evitando sempre il faccia a faccia con le forze
avversarie e perché colpisce quando meno te l’aspetti e dove meno te l’aspetti.
Ma a
differenza dei partigiani della nostra resistenza o dei vietcong bistrattati
dalla letteratura cinematografica, questa gente non lotta per cause giuste.
La loro
è una guerriglia vigliacca, una guerriglia volta al possesso del territorio,
dei racket, dei cartelli, di cospicue fette di mercato nascoste nell’ombra ma
che molti alimentano.
Perché
la differenza sta proprio qui.
Questi
guerriglieri combattono nell’ombra per una guerra volta al potere ma alimentata
dalla società.
Si
mimetizzano tra la gente comune eppure vivono grazie alla gente comune.
In un
certo senso siamo tutti collusi con questa gente.
Uno dei
punti di forza dei guerriglieri, dei nostri partigiani durante la seconda
Guerra mondiale, stava nella guerra di movimento e nella capacità di attingere
alle proprie risorse grazie alla gente comune.
Solo che
i partigiani della guerra di liberazione, dai contadini, ricevevano carne,
latte, formaggio, pane, indumenti per affrontare l’inverno delle montagne.
Questa
gente riceve denaro sonante.
E
potere.
Siamo
tutti collusi perché alimentiamo i fiumi di denaro che serve a questa gente per
esercitarlo, quel potere.
A pochi
giorni dalla sparatoria di cui tutti sappiamo, a poche ore dalla visione del
video di sorveglianza in cui si vedono i pistoleri all’opera, avolto scoperto,
in molti puntano il dito contro di loro.
Alcuni
inveiscono contro le forze dell’ordine, altri contro le istituzioni.
Volendo
per un attimo mettere da parte le carenze della giustizia, le supposte
inadempienze della politica, sarebbe ora che tutti (o molti per essere più
esatti) facessero un mea culpa sulla situazione attuale.
Non si
può pensare ad una società in cui siamo parte fondamentale solo quando c’è da
attribuire le colpe a chi non ci amministra bene, essere cittadini attivi solo
nel momento delle lamentele.
La
politica inizia dalla strada.
Essere
parte di una società è un lavoro costante che richiede tenacia, coraggio e
buona volontà.
Se per
assurdo vivessimo in una società senza politica e senza giustizia, naturalmente
dovremmo organizzarci e cercare di costruire la migliore delle società
possibili.
Mi
chiedo perché questo non debba accadere ora.
Perché
non dovremmo essere parte realmente attiva della società con gesti consapevoli
e coraggiosi.
E qui
ritorna il concetto del “siamo tutti collusi”.
In
questo turbinio di accuse, di sfoghi, di rabbia, di disillusione, di protesta
trasversale, che attraversa tutte le fasce della popolazione trattiamo il
problema come se fosse alieno da noi, dalle nostre responsabilità.
A parte
l’evidente tangenza col problema per motivi pratici e geografici siamo collusi
perché le guerre dei clan in corso le fomentiamo noi.
E lo
facciamo in molti modi.
Penso a
chi non rinuncia alla cannettina serale per addormentarsi o per rilassarsi, o
per stare con gli amici.
I
pacifisti, anzi i pacifici che “tanto la marjuana dovrebbe essere
legale” (concetto del tutto legittimo), ma che intanto comprano cospicue
quantità incentivando un mercato che a Bitonto è fiorente.
Penso a
chi non rinuncia ad una pista di coca al venerdì sera o prima del lavoro, o per
darsi un po’ di energia.
Che
tanto una pista di coca non fa male a nessuno e ti tira su.
Penso
alle fashion victims che non sanno rinunciare ad un paio di Hogan o di Nike a
basso costo di dubbia provenienza, o anche ad un televisore o una macchina
fotografica pagata la metà.
Se non
si compra in un negozio è frutto di un illecito, tutti lo sanno, eppure a tutti
fa comodo.
Intanto
i clan si sparano per questo o quel mercato.
Intanto
continuano le “spaccate” sui tir o gli assalti ai depositi.
É la
legge della domanda e dell’offerta.
Se
qualcuno mette in circolazione 1000 paia di Nike a 50 euro (e nonparlo di roba
cinese contraffatta) e quelle scarpe vanno a ruba, allora ci sarà la necessità
di alimentare nuovamente quel mercato e ci saranno altri furti ed altre contese
per quel mercato.
Uno dice
“non farà male a nessuno”.
Sul
mercato nero un kalashnikov costa poco più di 100 euro.
Due paia
di scarpe.
Anche
per questo siamo tutti collusi.
Penso al
mercato della prostituzione.
Altro
fiorente business i cui proventi vanno ugualmente nelle tasche di questi
signori.
Nessuno
va con le prostitute eppure quelle sono sempre lì.
Arrivano
dall’africa o dalla ex Jugoslavia o da posti ancora più lontani, messe in
esposizione come quarti di manzo in una macelleria.
Bistrattate
dai padroni, trattate come merce dai clienti.
Il
mercato della dignità negata.
Eppure
nessuno va con le prostitute.
Ma loro,
freddo o caldo, sono sempre lì.
E tutti
sappiamo il perchè.
Penso al
cavallo di ritorno per le auto rubate.
O ai
pezzi di ricambio a basso costo.
O ai
treni di gomme proposti sottobanco.
Non c’è
niente di male a comprare delle gomme seminuove, o un radiatore a metà prezzo.
Non farà
male a nessuno.
Anche
per questo siamo tutti collusi.
Anzi
molti, e lo specifico.
Perché
se è vero che ci sono forme di collusione palesi come quelle elencate, c’è chi,
suo malgrado, non può far a meno di alimentare questa guerriglia silenziosa.
Il
racket del pizzo, per esempio.
Non
tutti sono in grado di dire di no, o si sentono tutelati abbastanza.
Non
giustifico, ma comprendo come alcuni casi eclatanti abbiano visto per
protagonisti imprenditori coraggiosi finiti nelle grinfie della criminalità.
E qui
tiro in ballo il concetto di omertà.
Si fa
presto ad accusare, a biasimare, il commerciante che paga, ma si fa altrettanto
presto ad abbandonarlo.
Ci vuole
forza e coraggio da parte di tutti per spingere avanti il meglio della società,
per non abbandonare chi decide di non pagare eppure un paio di scarpe rubate,
una canna, una sveltina sulla statale con la rumena, regalano spalle forti e
possenti alla criminalità, spalle forti abbastanza da sopportare il peso di
qualche denuncia ed attendere nell’ombra per la vendetta.
Spalle
forti per armarsi e girare indisturbati e sparare per strada.
Siamo
tutti collusi, o quasi, perchè la guerra di questi gruppi la fomentiamo noi,
tutti i giorni, perché siamo noi che rendiamo forte questa gente.
Soprattutto
con l’omertà gratuita.
Omertà
spicciola, non quella delle grandi rivelazioni, delle forti testimonianze,
quella dei protetti speciali.
L’omertà
spicciola è quella della complicità silenziosa, quella in base alla quale gli
investigatori non hanno potuto interrogare nessuno sul luogo della sparatoria,
quella per cui non è arrivata alcuna telefonata anonima alla polizia, pure per
dire “io c’ero e forse ricordo. Male ma ricordo”.
L’omertà
dell’amicizia con certa gente, l’omertà che deriva dal fatto di considerare
bravo ragazzo uno dei pistoleri, “nonostante tutto”.
C’è
sempre stato il mito, a Bitonto, del delinquente “nonostante tutto”.
Ti
rubano la macchina? hai bisogno di un pezzo di ricambio? C’è sempre qualcuno
pronto a fare una telefonata agli amici degli amici per avere informazioni.
Informazioni
che arrivano puntualmente.
I proiettili
andati a finire nelle vetrine dei negozi sono stati esplosi da qualche bravo
ragazzo “nonostante tutto”, sono stati esplosi dagli amici degli
amici; e sono stati comprati da noi, dal nostro affare facile, dai nostri
silenzi, dalla nostra collusione.
Possiamo
protestare, fare sit in, dimostrazioni, cortei, manifestare con meravigliosi
concetti e parlare e parlare e parlare: fino a quando non ci renderemo conto
che certa parte della società è un tumore cresciuto dentro di noi, alimentato
da noi stessi, è parte di noi stessi, non riusciremo mai a trovare il modo per
estirparlo.
E di
tumore si muore.
Anche di
proiettili vaganti.