Stiamo ai fatti. Ed in ossequio a quel che il grande Tucidide definiva “autopsia”, quelli che abbiamo visto con i nostri occhi, al di là di ogni possibile narrazione, catastrofista, complottista o negazionista che sia (tutte politicamente pilotate, beninteso). Partiamo dal significato del termine “pandemia”, secondo l’enciclopedia Treccani: “Epidemia con tendenza a diffondersi ovunque, cioè a invadere rapidamente vastissimi territori e continenti. Può dirsi realizzata soltanto in presenza di queste tre condizioni: un organismo altamente virulento, mancanza di immunizzazione specifica nell’uomo e possibilità di trasmissione da uomo a uomo”. E diciamo che, purtroppo, ci siamo. Ufficialmente, da marzo scorso, quando la si poteva considerare una pericolosa e imprevedibile calamità. Ora, no. Più di un mese fa, amici medici cominciavano a lanciare l’allarme: stavano cercando posti fuori regione per trovare il giusto ricovero a chi aveva bisogno di terapia intensiva. Altri, denunciavano le condizioni disastrose in cui dovevano operare quotidianamente. Altri ancora, manifestavano preoccupazione profonda per tutti coloro che già avevano altre malattie e, pian piano e inesorabilmente, sarebbero stati trascurati. Frattanto, uomini morivano per strada per altre patologie che non fossero Covid-19. E si può affermare senza tema di smentita che la Sanità sconta, oggi, decenni di scelleratezze e nefandezze della politica, finalizzate ad agevolare arricchimento e carriere dei soliti noti, con buona pace dei comuni cittadini. Emblematico, a questo riguardo, il destino dell’ospedale di Bitonto. I decessi si moltiplicavano paurosamente, ben al di là del numero consueto stagionale. Sul nostro giornale abbiamo pubblicato uno “spallone” infinito, che mi ha riportato in mente con angoscia le pagine dei necrologi dell’Eco di Bergamo della primavera scorsa. Nel silenzio di tutti, si susseguivano cerimonie funebri nel cimitero blindato e con necrofori bardati come ghostbusters. Uno di loro, durante un mattino mesto, mi si avvicinò per comunicarmi che all’obitorio dell’ospedale San Paolo c’erano cadaveri chiusi nei sacchi, sul pavimento. Da docente (a proposito, nuovi istituti costruiti, nel frattempo: zero), ho fatto lezioni in una scuola trasformata in struttura ospedaliera con temperatura corporea monitorata cotidie, ragazzi che rispettavano l’ingresso scaglionato (perfino i più scapestrati, per solito riottosi ad ogni regola), seguendo una rigorosa segnaletica orizzontale, banchi distanziati a dovere, gel igienizzante in ogni classe e obbligo di mascherine. Quando il numero dei ragazzi non permetteva la presenza, metà del gruppo era già in Dad. Altresì, a settembre e ottobre, ho viaggiato in bus stracolmi come se nulla fosse. Poi, siamo passati tutti alla didattica a distanza e, ogni poco, durante le ore dinanzi al monitor sbucava un papà che abbracciava affranto il figlio perché aveva perso il nonno oppure si assentavano alunni perché contagiati. Altri ancora, tristemente abbandonati dall’Asl restavano per settimane tappati in casa, in attesa di un tampone che chissà se sarebbe mai arrivato. Una mattina, incrocio un amico in lacrime che ha avuto la madre uccisa dal Coronavirus, senza poterle donare un’ultima carezza e tuttora ha ben due sorelle finite bel tritacarne di questa riffa all’incontrario e lottano fra la vita e la morte. Una cara collega ce l’ha fatta, ma ora sta affrontando una dura fase di faticosa riabilitazione, col cuore stretto dal dolore perché suo padre, invece, non ha retto alla tempesta virale. Ecco, sentiamo parlare di Indice R con T, cioè l’indice di riproduzione del contagio, in base al quale i virologi, spesso contraddittori e ormai divenuti star televisive, offrono i criteri per determinare la colorazione delle regioni italiane. In base alla quale nuance vengono poi decise misure restrittive o aperture di esercizi commerciali di varia natura a colpi di Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (i famigerati Dpcm). Io penso che quasi (avverbio di mera prudenza) tutto sia stato sbagliato da parte di chi doveva prendersi la responsabilità di deliberare qualcosa – parentesi lunga. C’è la fregola di riavviare il motore dell’economia, dopo che poco o nulla è stato fatto concretamente per sostenere i commercianti, quando si doveva. Saracinesche malinconicamente abbassate e cartelli con su scritto “vendesi”: anche questo ho constatato – e che, al di là della sfumatura cromatica che toccherà al nostro territorio, sarà nera. E non per congetture catastrofiste, ma semplicemente alla luce di quello che ho elencato sopra e che ho visto con i miei occhi.