Cara Angela Ricci Colli (docente di origini bitontine, ha insegnato nei licei lombardi, è appassionata delle vicende del borgo suo natio ed è amica del poeta),
Le buone maniere? Come le norme
morali, le norme giuridiche sono state, ognora, elaborate dai detentori di
turno del potere o dalle classi egemoni nelle varie società nel tempo e nello
spazio per controllare le masse e renderle, indefettibilmente, suddite. E al di
sopra delle buone maniere, delle norme morali, delle norme giuridiche si sono,
ognora, essi considerati.
Per rendere più icastico il mio Argomentare, ecco, ad
esempio, le norme giuridiche. Il diritto è l’insieme di leggi, ordini,
consuetudini tradizionali che fissano ciò che è permesso e ciò che è vietato.
Chi fissa? Chi vieta? E a chi fissa, a chi vieta? E perché?
“Ius” in Latino
(Non è un caso che in roma la Riflessione Filosofica fu d’importazione dalla
Grecia, mentre l’elaborazione della giurisprudenza fu l’impegno preponderante
delle classi al potere: dell’aristocrazia e degli “homines novi”, una ciurma di
grassatori, di usurai, di appaltatori di opere pubbliche, di riscotitori di
tasse, di gabelle che elaborarono un complesso apparato, un sistema di norme
che potessero dare parvenza di legalità alle loro prepotenze, prevaricazioni,
ruberie, insomma, nei confronti delle classi subalterne alle quali sottraevano,
ognora, ciò che erano beni comuni) significa: diritto, privilegio, facoltà,
potere, autorità esclusivi delle classi al potere o di chi detiene il potere di
rubare, di uccidere, di compiere qualsiasi, anche, cruento atto illecito.
“Vae!”,
guai ai singoli, specie, delle classi subalterne, che si arrogassero, si
arroghino il diritto, il privilegio, la facoltà, il potere, l’autorità di
mettere in atto azioni omicidiarie o ruberie di infima o grande consistenza,
importanza, c’era, c’è la restrizione della libertà personale, anche, per tutta
l’esistenza in vita del condannato e, perfino, la morte.
Non a caso, Denuncia
M. Foucault, i processi, nei confronti di coloro che incapparono, incappano nei
rigori del diritto, del privilegio, della facoltà, dell’autorità del potere o
dei detentori di esso, sono sempre stati pubblici e le esecuzioni capitali,
ancora oggi, in molti paesi sono pubbliche o in presenza, seppur limitata, di
pubblico: si mettono in guardia le masse o i singoli tra esse che la fine del
condannato, a causa della pubblica, implacabile
ferocia del potere, può essere la fine di chiunque s’attenti a impadronirsi del “diritto” di chi in alto “puote ciò che
vuole”.
Ma, anche, dal punto di vista civilistico le classi al potere in roma
donarono alle classi al potere dei paesi, che improntarono la loro legislazione
al “corpus iuris” romano, il modello delle loro spoliazioni del pubblico
demanio. Prendiamo, ad esempio, l’”usucapione”, cioè il modo di acquisto della
proprietà di un bene attraverso il possesso continuato per venti anni, fondato sulla
buona fede o su un titolo, giuridicamente, ritenuto idoneo.
Come sappiamo,
l’aristocrazia senatoriale romana fondava la sua enormi ricchezze e, quindi, il
suo prestigio sociale sul possesso, nell’agro romano e in territori conquistati
dalle legioni (formate da piccoli coltivatori che, obbligati ad abbandonare la
vanga per le armi, non avendo più il, pur, esiguo reddito proveniente dal loro
lavoro, si indebitavano a tal punto da diventare schiavi dei loro creditori.