Joan Gabriel Barbuti, romeno
all’ergastolo per aver ucciso un vicino di casa, detenuto nel carcere di ”opera”
dal giugno 2013, si suicida nel luogo ove stava espiando la pena, comminatagli
da uomini, come lui, pur se più fortunati di lui, in quanto nati in un contesto
sociale che, raramente, destina coloro che sono “progetti in esso gettati” a
finire i loro giorni nell’inferno d’una “casa di correzione”.
“Repubblica. it”
racconta che alcuni agenti di polizia penitenziaria hanno fatto diluviare su
“facebook” chiose sulla tragica fine di Gabriel che rivelano, non un
inesistente senso di terrena Carità in codesti “inappuntabili” servitori dello stato, “sed” ciò che l’uomo,
storicamente, è stato, ciò che ognuno di noi è nel presente, senza la
possibilità di scagliare non prime, né ultime pietre.
Per non essere tali e
quali i “signori”, di cui sopra, dovremmo Liberarci di quella zavorra d’infame
egoismo, egocentrismo che ci chiude, vivi, in esso, facendoci morire in Spirito.
Noi siamo morti che camminiamo verso l’altro e non gli possiamo non donare, in
qualsiasi modo, se non la morte, ché non conosciamo la
Vita.
Da millenni l’uomo, trasmettendo ai
nuovi nati, egoismo ed egocentrismo, li fa nascere morti alla Leopardiana ”social
compagnia”.
Ecco, ho Citato Leopardi che, “rara avis in gurgite vasto”di
miliardi di uomini protagonisti in ogni caso della Storia sino ai nostri
giorni, trasversalmente, da principi o da sudditi non vocati al Commercio Solidale con i
prossimi, Calvinianamente, Si Fece Leggero col Rigore, la Serietà del Pensiero, Capitalizzando,
Machiavellianamente, con “studi matti e disperatissimi” il Rigore e la Serietà del Pensiero dei
non molti Altri prima di Lui, per Volare “Oltre” la “tinozza di noi stessi”. “L’Oltre”
al quale “Griffy il bottaio” (Edgar Lee Masters) Invita, invano, gli uomini
comuni, vegetanti nella pigrizia del coro: ”Siete sommersi nella tinozza di voi
stessi /tabù, regole, apparenze, /sono le doghe della vostra tinozza. /Rompete
e dissipate l’incantesimo /di credere che la tinozza sia la vita /e che voi
conoscete la vita!”.
A completamento o a maggiore precisazione delle
Affermazioni di E. L. Masters, bisognerebbe Aggiungere che la stragrande
maggioranza degli uomini vivono, morendo, spiritualmente, rinchiusi in due
“tinozze”, dalle quali avrebbero il dovere di evadere. La prima è costituita
dal complesso delle circostanze sociali. economiche, culturali, sottoculturali,
più spesso, con le quali, al mondo venendo, pur non avendole scelte, decidono,
purtroppo, di non confrontarsi o di non fare i conti; in definitiva, di appiattirsi su di esse,
ritenendole le migliori, le più adeguate ad un vivere, serenamente, in pace con
se stessi e con i loro simili, costituendosi, “facillime”, in branchi o in
greggi di ”yes-man”, vilmente, aggressivi con parole, azioni cruente contro le
minoranze in posizione, criticamente, dialettica nei riguardi del loro
deterministico, indiscutibile, ultimativo: ”hic manebimus optime”.
L’altra tinozza, che incarcera ciascuno degli
individui, componenti la maggioranza, di cui sopra, è la certezza che il mondo
e l’uomo sono immodificabili, mentre Coloro che Volarono, Volano, nonostante la
diffidenza, l’incredulità, l’irrisione dei più, oltre le due tinozze,
Immaginarono, Immaginano: il Cambiamento del mondo e dell’uomo; il Fiorire di Mani
che Si Stringono, che Suggellano Patti d’Amicizia, di Collaborazione, di
Solidarietà; Uomini, che senza ConoscerSi, Si Amano; che, senza essere nati da
una medesima madre, Si Dicono Fratelli, ché Figli della Vita, che è,
essenzialmente, Respiro della Natura, dei suoi Colori, dei suoi Suoni, della
sua Bellezza imitabile solo dalla Mano o dalla Parola Divina d’Artista e di
Poeta. O miei 25 Lettori, state, forse, Pensando al “David” di Michelangelo o
ai Versi 136 – 139 del IV Canto del Purgatorio: “E già il poeta innanzi mi
saliva, /e dicea: ’vienne omai: vedi ch’è tocco /meridian dal sole, ed a la
riva /cuopre la notte già col piè Morrocco’”?
Se la Vita non è in noi, non è
contenuta nella Storia, che s’è dipanata nei millenni e millenni, né sulla
minuscola zolla, chiamata “Terra”, Essa è nel Mistero al di là della Storia, al
di là di noi, al di là della Terra; ad Esso dobbiamo Rapire la Linfa e la Luce, ad Esso dobbiamo Chiedere:
”Che Fare ?”, per non ripetere quanto, quello che abbiamo fatto nel passato e
facciamo nel presente. A bella posta, MI sono allontanato dal Raccontare e dal
Commentare le umane (non potevano essere diverse da quelle che sono state poste
in essere da quegli uomini che abbiamo, appena sopra, situato nelle due
tinozze) reazioni al suicidio del romeno Gabriel.
Avevo bisogno di SpiegarMI e
di Spiegare, di Sciorinare (“d spann”, si Dice nella Lingua di bitonto) le
motivazioni per le quali le parole diventano pietre che lapidano coloro che
sono morti, in quanto le medesime non sarebbero servite a mortificarli in vita,
tale e tanto era l’infossamento di essi nel disperato abbrutimento delle galere
italiettine.
E avevo, anche, bisogno d’Immaginare, Persuaso che se Qualcosa di,
altamente, Progredito S’Immagina, Esso Irradia la plumbea presenza di ciò che
è stato ricorrente nell’agire umano, nei rapporti interpersonali degli uomini e
lascia Trasparire ciò che essi potrebbero Essere, la loro interiore Essenza che,
Ripetiamo sta nell’“Oltre” loro stessi e il contesto storico che li ha accolti
e li accoglie.
Quindi, sia pure tardivamente, entriamo con sofferenza “in
medias res”. Come nell’“Incipit” del nostro “Elzeviro” avevamo cominciato a
Ragguagliare, un gruppo di poliziotti penitenziari, appartenenti ad un
sindacato, che per decenza non nomiamo, su “facebook” ha esultato, ha,
metaforicamente, levato i calici al suicidio di Gabriel, scribacchiando: ”Meno
uno”; “Un romeno in meno”; “Mi chiedo cosa aspettino gli altri a seguirne
l’esempio”.
Nel Leggere siffatte nequizie, senza intenzione alcuna di
deresponsabilizzare i compositori di esse, ho pensato di comparare costoro ai
bambini di pochi anni che, essendo stato loro insegnato di stare lontani dal
vecchio o dalla vecchia in quanto
“persone cattive”, nel percepire uomini o donne attempati, con irresponsabile naturalezza, di cui i genitori
ipocriti fingono di scandalizzarsi, dicendosi, per non farsi mancare niente,
rammaricati, si danno ad apostrofare gli anziani, da essi “zoomati”, con una
irrefrenabile scarica di insulti, ai quali i loro maggiori li hanno,
diabolicamente, iniziati.
La spontaneità insolente con la quale le contumelie
vengono scagliate è tipica della inquinata auroralità dei “pupi”, “sed” i contenuti
di razzismo generazionale sono il frutto della cecità etica “vaginarum atque
mentularum quae eos peperierunt”.
Allora, ci dobbiamo chiedere quali e quanti
requisiti minimi di Cultura dovrebbero possedere i futuri “superiori”, a quali
“test” psicoattitudinali sono sottoposti coloro che ambiscono a svolgere in
luoghi di indicibile tribolazione, patimento un
lavoro che richiede, non “nerborutismo fisico”, ma Capacità di Parola
che Sappia Custodire per, poi, far Riemergere dall’interno di chi ha sbagliato
quella innata Disposizione alla Socialità mai, totalmente, vinta pur in chi non
ha candida la sua “fedina penale”,a causa, anche, degli esempi negativi, messi
in opra dai loro affini, in coincidenza con reiterati accadimenti, altrettanto,
negativi.
Non è, certamente, ogni uomo “zoon politikon”, come Aristotele lo
Definisce?
Per il detenuto il carcere è una sventura, per il poliziotto
penitenziario è la scelta della sventura di sopravvivere con l’”obolo” dell’amministrazione
penitenziaria.
Elias Canetti Dice che è ”soprattutto la sventura che accomuna
gli uomini”.
Ancora, ci dobbiamo chiedere, chi, mai, ha valutato negli
aspiranti a indossare la divisa di poliziotto penitenziario la Capacità di Rispetto dell’
”uomo detenuto”, spostando il discorso non su ciò che gli è accaduto, per il
quale avrebbe meritato la pena, ma sulla Speranza, da far coltivare, anche, dai
“fine pena, mai!”, di essere restituiti, oltre le sbarre, allo Splendore e alla
Serietà della Libertà, Valore che, se supportato dalla Responsabilità, non può
non Sottrarci al male e Trasformarci in
Costruttori del Bene.
Non poche volte sono stato nel carcere di massima
sicurezza di trani, per esaminare detenuti aspiranti al passaggio da una classe
all’altra all’interno di vari indirizzi
di studio.
Già è definito di massima sicurezza il carcere di trani, ma i miei
allievi non erano rinchiusi nelle sezioni di comune trasgressività sociale,
sebbene segregati e selezionati nella sezione di coloro che, secondo definitive
sentenze della suprema corte di cassazione, s’erano macchiati di gravissimi
reati associativi.
Pertanto, appartenenti alle “brigate rosse”, ai clan della
“mafia”, della “ndrangheta”, della “camorra”, della “sacra corona
unita”.
Ebbene, miei cari 25 Lettori, tutte le volte che uscivo dal carcere, MI
Domandavo, sinceramente, frastornato, come potessero essere stati, secondo le
sentenze dei tribunali, che li avevano condannati, considerati dei pericolosi,
incalliti, spietati criminali, gli allievi miei, che nello “status” di
detenuti, MI avevano dato Lezioni di (Dis)umana Gentilezza, Educazione, Nobiltà
d’Animo (il contrario di questi valori è patrimonio degli umani condomini, dei
quaquaraqua), di vivace Intelligenza Dialettica.
Quando sono Diventato
“Emerito” della Scuola, e non sono andato più nel carcere di trani, i colleghi,
che MI avevano sostituito in quella delicata, sofferta Missione, MI hanno
riferito che i miei allievi detenuti erano, fortemente, preoccupati che la mia
“messa in quiescenza” li avrebbe di nuovo nelle tenebre sprofondati, ché IO,
umile nano, MI sono, ognora, Arrampicato sulle Capaci Spalle dei Grandi
Maestri, Convinto, facendoMI di Essi, inarrivabili, Portavoce, che se i miei giovani
interlocutori avessero Voluto, avessero Creduto in loro, avessero Accentuato la
loro Autostima, attraverso l’Impegno e la fatica e la Rinuncia, un giorno la Grandezza di Coloro che
IO loro Proponevo, come Modelli, li avrebbe, quanto meno, Sfiorati.
Anche ai
miei interlocutori detenuti, a conti fatti, secondo i più senza Speranza, IO
avevo Parlato, come ai miei discepoli ché, secondo Confucio: ”Un giovane
dovrebbe essere trattato con il massimo rispetto. Come fai a sapere che un
giorno egli non varrà quanto tu vali oggi?”.
D’altra parte, i miei Amici
detenuti avevano capito che, entrando nel carcere, anch’IO ero uno sventurato,
come i loro carcerieri, costretto a guadagnarmi la pagnotta, obbligato,
comandato, pur per breve tempo, in un luogo che il potere, consapevolmente,
escludeva, esclude da tanta altra realtà.
L’unica differenza stava nel fatto
che IO non Disconoscevo la pluridimensionalità, la molteplicità esistenziale
dei miei allievi, mentre tutta la filiera dell’amministrazione penitenziaria, a
cominciare dal ministri per finire all’ultimo secondino, li ”contemplava”, come
se dalla nascita fossero stati stigmatizzati con il marchio dell’unica
dimensione criminale.
I poliziotti penitenziari che hanno brindato al suicidio
di Gabriel, hanno esultato, ché sono stati formati ad “avere il core nero”, per
poter, efficacemente, agire nei riguardi dei loro,”umanamente”, custoditi, ispirati, soprattutto, dal sentire comune.
Una storiaccia di “guardiani e di guardati” emblematica, anche, perché
documenta, ulteriormente, la barbarie delle condizioni delle carceri italiettine,
sia per i detenuti (i miei allievi nemmeno nell’ora d’aria potevano scorrazzare
in un cortile e affrancare il loro corpo, le loro articolazioni dalla pigra
desuetudine al movimento.
Quando uscivano dalle loro celle, sempre, in
penombra, venivano rinchiusi in una struttura in ferro o in acciaio e vedevano
il cielo attraverso i quadratini di essa e per i medesimi respiravano), che per
chi lavora in esse. Subito la congrega dei “politicamente corretti” s’è fatta
sentire con trombe laiche e con campane clericali, dissociandosi, ipocritamente,
e definendo inqualificabili i commenti dei poliziotti penitenziari al nuncio
del suicidio di Gabriel.
Perfino, il ministro della giustizia, andrea orlando,
che è arrivato a tanto alto incarico avendo nel suo “curriculum” la striminzita
“maturità scientifica”, ha sconfessato i suoi, “politicamente scorretti”,
sottoposti.
Lungi da ME alcuna giustificazione dell’omicidio, di cui Gabriel si
macchiò, ma a nessuno è venuto in mente che il crimine, da lui commesso, avesse
lontane scaturigini nelle fognature di bucarest ove tanti romeni, in giro per
l’europa, commettendo reati più o meno gravi, sono nati e cresciuti, mentre la
greca di ministro per l’orlando sia stata confezionata dagli stilisti della sua
famiglia, probabilmente, agiata, orgogliosa, sicilianamente, di aderenze
politiche importanti, che hanno sostituito lo Studio di “codici, pandette,
novelle”, unico Merito per fare con Competenza il “Guardasigilli” in un paese
normale, come l’italietta non è?