“A Santa Rita dobbiamo andare? Col pullmàn dobbiamo andare?“.
Seduta in cucina, la vecchietta instupidita ripeteva quel che sarebbe diventato un autentico tormentone – lo ricordo scritto persino sulle pareti delle classi in cui insegnavo – in attesa che Emilio Solfrizzi in arte Toti la fulminasse con una delle sue battute.
Quante generazioni si sono sbellicate dalle risate solo a sentire quella voce un poco lamentosa e tanto simpatica.
Era di Mario Mancini, l’attore barese più simpatico che ci fosse (bella lotta con Gianni Ciardo, però), la cui genuinità non faceva sentire affatto la sua pur ovvia “appartenenza ematica” al capoluogo.
In realtà, egli era un artista verace e appassionato tanto da scappare per inseguire i sogni, fatto raro quali che siano i tempi.
Figlio di Barivecchia, era anche poeta.
Fu protagonista di autentici capolavori come “June mond’a la lune”, “Jarche Ialde” e “Jarche Vasce”, piéce quest’ultima firmata dal bitontino Michele Mirabella con la direzione di Eugenio D’Attoma. Insomma, è storia del teatro pugliese (e non solo).
In settimana, Mancini s’è spento all’età di 85 anni.
Tra coloro che gli hanno tributato doveroso omaggio memoriale, significative sono state le parole di un altro nostro concittadino, di lui collega e omonimo per giunta, Mimmo Mancini.
“Mario Mancini è stato l’erede di una grande scuola di teatro popolare, quella che oltre alla dizione e alle tecniche di recitazione, cominciava con l’insegnarti anche a mettere i chiodi in scena, montare e smontare e poi andare in scena da attore, a tutto tondo. Una scuola fatta di rispetto e di buona energia, di gioia nel fare quello che si metteva in scena e senza problemi di ruoli e di importanza o di anzianità. Si faceva tutti insieme e con la voglia di fare“, ricorda, sottolineando il valore collettivo dell’esperienza teatrale, il Nostro, impegnato in questi giorni con l’amico Paolo De Vita nella dolceamara saga dei Fratelli Capitoni.
“Ciao zio Mario, ti ho sempre chiamato così per il nostro cognome in comune, ed io mi sentivo onorato di avere uno zio come te, un uomo di una Bari popolare che non ha mai avuto paura di dichiarare a quei tempi e al mondo intero, la propria personalità, i propri vizi e le grandi virtù. Buon viaggio Zio Mario, ti ho sempre voluto bene“, conclude con affetto Mancini.