Per chi ha una certa età, come il sottoscritto, piazza Aurelio Marena – prim’ancora che ricordare il grande vescovo d’origine partenopea – era u Biblòs o u camb negr, nomato così per cromatica contrapposizione con quello bianco, nei pressi del cimitero.
Dunque, sabato sera inoltrata, su quello slargo divenuto più o meno comodo parcheggio, fra le ombre di alberi muti stormiva un vento freddo, danzava l’eco allegra dei ragazzi seduti ai tavoli di vicine pizzerie, ogni poco scoppiava un’innocente risata.
Mentre la comitiva, scherzosamente battibeccando, s’avanzava fra le tenebre che inesorabili vincevano la luce, il primo faceva segno con la mano agli amici di zittirsi e sembrava quasi implorare ai loro passi di farsi più leggeri.
Si era accorto – lui, uno di quei ragazzi di oggi, maleducati, ignoranti e scurrili, come li bollino un po’ tutti – si era accorto, dicevamo, che su una panca di duro legno, dormiva, tutto acciambellato sotto una coperta di fortuna, un uomo.
Serrato in un silenzio fetito.
Sopra il suo corpo tremante, rami piangevano foglie tristi.
Ho pensato – mentre in città e, peggio, sui social, autentici mondi fasulli, si disquisiva certo accanitamente se fosse giusto o no aiutare i migranti, se avesse senso o no camminare solidali a piedi nudi per le strade – che quella persona, rannicchiata e neppur tanto anziana, poteva essere di Bitonto o di chissà dove, perché il dolore, la miseria e la solitudine non hanno passaporti…