Ultimo atto per l’iniziativa “I germogli del lutto”, questa sera al Teatro Traetta.
Alle ore 20, il sipario si aprirà per lo spettacolo “Kampai! O dell’umana finitezza”.
L’atto teatrale composto e messo in scena da Nunzia Antonino, Annarita De Michele e Rossana Farinati con la regia di Carlo Bruni è stato presentato per la prima volta nel 2023 al festival di drammaturgia Trame Contemporanee.
L’ingresso allo spettacolo è gratuito con invito da ritirare al botteghino del Teatro Traetta (dal martedì al venerdì dalle 17.30 alle 19.30).
La pièce ruota attorno alle storie di tre donne, accomunate da una perdita, che si intrecciano in un cimitero. Ferite da curare condividendo gesti, parole rare, storie che gradualmente rivelano corrispondenze inattese. Una riflessione nata già nei mesi della pandemia, connotati dall’impossibilità di compiere i gesti intimi del commiato. Impossibilità che ha acceso quel senso di mancanza di un tempo, di un luogo e di un atto condivisi per celebrare il passaggio.
Tracce di una ritualità perduta, con particolare riferimento alle tradizioni pugliesi, hanno così animato il principio della ricerca di questo lavoro teatrale che ha privilegiato il movimento e l’azione coreografica piuttosto che la parola, maturando via via la convinzione di quanto difficile per quest’ultima sia trattare quella frontiera. Così è nato il titolo Kampai che include la k, richiamando l’esclamazione con cui i giapponesi brindano “alla vita” e l’aver campato, l’aver vissuto: obiettivo non scontato per nessuno.
Le tre figure femminili presenti nello spettacolo, disegnano quella minima geografia necessaria all’evocazione del commiato. Protagonisti sono, dunque, una vita addolorata, una morte prematura e chi, per volontà o ‘incarico’, ha il compito di custodirne la delicata relazione.
“KAMPAI! o dell’umana finitezza” pone l’attenzione sull’uso delle metafore nell’affermazione relativa ad una perdita, un lutto. Per dire che qualcuno è morto, si utilizzano, infatti, metafore che si riferiscono spesso ad una partenza, forse perché sembrano meno definitive: fanno immaginare un ‘ancora’ presente per quanto invisibile. Lo strappo intollerabile che la morte ha provocato si fa rito. Pertanto, questo lavoro indaga la ritualità perduta, non per riesumarla ma per acquisire la consapevolezza del suo valore, in modo che resti come una domanda inevasa.
Nel processo di creazione l’attenzione si è concentrata sul movimento inteso come azione. Azioni e ritmo alimentano un’indagine su quanto necessario ad affrontare questo confine, questa soglia che partecipa alla vita dandole compiutezza e dunque, in qualche modo, festeggiandola. Per questo si privilegia la danza, il riso e certamente il grottesco sapore della Morte. Alle ricerche ha collaborato Chiara Michelini, mentre i contributi per la scena e i costumi sono di Bruno Soriato e Monica De Giuseppe. Le luci sono state, invece, curate da Carlo Bruni e Bruno Ricchiuti.
Ingresso libero