Il
15 agosto 1945, in un commosso messaggio alla nazione, l’Imperatore
Hirohito annunciava la resa del Giappone. Finiva così la Seconda
Guerra Mondiale.
A
spingere l’Imperatore a quella decisione contribuirono i
bombardamenti atomici sulle città di Hiroshima e Nagasaki. Proprio
oggi ricorre il 70esimo anniversario del primo dei due: quello su
Hiroshima.
Erano
le 8.14 del 6 agosto ’45 quando il bombardiere statunitense Enola
Gay sganciò l’ordigno Little Boy sulla città. Una catastrofe che
costò la vita, all’inizio a 80mila persone, uccise dalle ustioni
subite per l’altissima temperatura.
I racconti dei sopravvissuti
parlano di esseri umani dalla pelle e dagli occhi sciolti camminare
per un po’, prima di spirare. Ma l’esposizione alle radiazioni fece
salire il numero delle vittime a 200mila persone. Numero destinato a
crescere negli anni successivi a causa dei tumori e dei casi di
leucemia che afflissero i sopravvissuti, gli hibakusha. E molte delle
vittime, in quel terribile giorno, non erano ancora nate, condannate
ancor prima di venire al mondo. Parliamo di tutti quei bambini che
nacquero con malformazioni o seri problemi di salute.
Il
90% degli edifici fu distrutto. Solamente tre giorni dopo la stessa
sorte toccò a Nagasaki. Il trauma subito dal Giappone fu tale da
costringere alla resa immediata e incondizionata un Paese che ancora
lottava strenuamente e che non concepiva l’idea di gettare le armi.
La
città di Hiroshima, quest’anno, sta organizzando diversi eventi a
ricordo di quella tragedia. Ma come si presenta a 70 anni di
distanza?
Hiroshima
oggi è una normale città moderna. Le radiazioni, sebbene sia
diffusa l’idea contraria, sono tornate nella norma già alcuni anni
dopo, quando la città fu totalmente ricostruita. Di storico c’è
molto poco. Dell’antico passato oggi rimangono un castello medievale,
ricostruito nel ’59, dopo essere stato distrutto dall’esplosione, e l’ex Palazzo della Promozione Industriale, uno dei pochi edifici che,
sebbene molto danneggiato, resistette, almeno esternamente (gli
interni crollarono e gli occupanti morirono sul colpo) grazie alla
sua struttura in cemento armato progettata per resistere ai
terremoti.
Il palazzo, ridotto ad un rudere e noto come Genbaku Dome,
Memoriale della Pace, è ancora lì, rimasto a testimonianza di quel
che accadde. Niente è stato spostato, neanche i massi caduti a
terra. Si trova all’interno del Parco della Pace, grande area verde
piena di altri memoriali.
A
breve distanza ci sono la Campana della Pace, che i turisti sono invitati a suonare, e il Monumento ai Bambini, in memoria di Sadako,
bambina morta per leucemia a seguito dell’esplosione e convinta che,
creando tanti origami di carta, potesse salvarsi. La malattia non si
curò certo del suo talento, ma ancora oggi le scolaresche portano
tanti origami colorati in suo onore, davanti alla sua statua, che la raffigura con le bracia protese verso l’alto.
Poi
c’è la Fiamma della Pace che, si narra, verrà spenta solo quando
l’ultima arma atomica sarà stata smantellata (dunque, probabilmente
mai). Ancora avanti il Cenotafio che riporta i nomi delle circa
200mila vittime e la scritta, in diverse lingue: «Riposate
in pace. Non permetteremo che si ripeta questa tragedia». Diverse persone, ogni giorno, si fermano a pregare davanti al monumento.
Ma
per avere una reale idea della catastrofe è d’obbligo visitare il
Museo della Pace, che conserva molte testimonianze che contribuiscono a rendere la visita molto toccante: vestiti bruciati
e oggetti di vita quotidiana, specialmente di bambini che andavano
a scuola, bottiglie di vetro e tegole sciolte dal calore, orologi
fermi all’ora dell’esplosione, una bicicletta per bambini bruciata,
fotografie della città rasa al suolo e degli effetti sulle vittime.
Tre
statue in cera ritraggono una madre con due bambine terribilmente
ferite, moribonde, mentre camminano, tra le macerie infuocate della
propria casa, nei loro ultimi istanti di vita. In un’altra sala è
conservato un pezzo di una scalinata che, una volta, faceva da
ingresso ad un edificio. È qui ancora visibile una chiazza più
scura. Lì, al momento dell’esplosione, era seduto qualcuno. Di
quell’essere umano non rimase nulla, neanche l’identità. Fu
incenerito completamente. La sua lapide è rappresentata da
quell'”ombra”, creata perchè il malcapitato fece da
schermo alle radiazioni, impedendo che, in quel punto, le pareti si
schiarissero.
I pannelli illustrativi mostrano le dinamiche che portarono a quello che fu un vero e proprio crimine di
guerra, non da meno di quelli degli eserciti dell’Asse, tra cui gli
stessi giapponesi. Sebbene non sia riconosciuto come tale dagli autori, che si difendono dicendo che servì ad evitare che la guerra si prolungasse moltiplicando le perdite sia tra gli americani che tra i giapponesi.
Diversi
storici, si legge, concordano nell’affermare che il bombardamento atomico fu un
atto strategicamente inutile. Non servì a sconfiggere, ma solo ad
accelerare la resa dei giapponesi che, in realtà, lottavano più per
senso d’onore che per reale speranza di vittoria. Gli alleati
europei, l’Italia fascista e la Germania nazista, erano ormai
sconfitti. A combattere, delle potenze
dell’Asse, non rimanevano che loro. Indeboliti dalle diverse
sconfitte subite, privati dei rifornimenti e circondati ad est dagli
americani e ad ovest dai sovietici, non avrebbero resistito a lungo.
Ma la guerra fredda era alle porte e bisognava mostrare i muscoli
all’amico/nemico sovietico che si preparava ad allargare il proprio
dominio ad Oriente. E così gli Usa decisero di testare, su obiettivi
civili, quelle nuove armi, al cui utilizzo, gli stessi scienziati, che
avevano promosso e contribuito alla realizzazione, come Einstein, si
opposero, sottolineando successivamente che se l’avessero fatto i
tedeschi, sarebbero stati impiccati a Norimberga.
Dopo
Nagasaki, quella terribile arma non è mai più stata utilizzata in
guerra.
Tuttavia, diversi sono stati i test effettuati da varie
potenze come Usa, Urss, Gran Bretagna, Francia, Cina, India, Pakistan
e, per ultima, Corea del Nord.
Ufficialmente in luoghi disabitati o
evacuati (e già quest’ultima azione è moralmente inaccettabile,
comportando lo sradicamento di una popolazione, per quanto ridotta,
dal luogo natio). Non di rado, purtroppo, ci sono state vittime
civili tra la popolazione non adeguatamente evacuate.
Ufficialmente
per errori, ma c’è chi accusa l’intenzionalità per testare gli
effetti nocivi sull’uomo.
Vittime che nel tempo sono morte o si sono
ammalate, vedendosi spesso negare persino il risarcimento.