“Guarda Mario, che bello: questa è la mia
famiglia ed è grande quanto una città”.
Le parole sono di
un dipendente della sede barese della Bridgestone, che con la mano mi indicava quella struttura immensa, quasi
carezzandola.
Aveva gli occhi
lucidi, mentre le proferiva.
Dunque. Nella storia triste, tristissima dello
stabilimento sito nella zona industriale modugnese, ad un sospiro da Bitonto,
c’è qualcosa (molto, troppo) che non va.
Già sin dall’inizio la vicenda sapeva di antiche
soperchierie di padroni protervi sui malcapitati lavoratori.
Innanzitutto, la modalità scelta per comunicare
la nera decisione di chiudere. Una videoconferenza di pochi minuti, trasmessa
in un giorno in cui, per varie coincidenze – non tutte casuali, ovvio –,
l’attenzione non poteva essere al massimo. Fors’anche per questo i media al
principio hanno sonnecchiato.
Presto, i ragazzi in tuta giallo grigia si sono
messi a picchettare i cancelli della loro casa.
A tutte le ore,
protestavano e lavoravano, lavoravano e protestavano, persone serie essendo.
Arrivò il settimo cavalleggeri della politica. E
qui è necessario distinguere tra chi davvero ha preso a cuore le vicissitudini
degli operai da quelli che vanno lì solo a fare passerella, magari
approfittando d’una complice telecamera nei paraggi.
Vennero, poi, i tavoli di concertazione fra le
parti sociali, con i sindacati strenui paladini del salvabile.
E pure in questo
caso, s’è levata una subdola puzza di bruciaticcio.
Ovverosia un giorno
si diceva una cosa, il dì seguente si decideva esattamente il contrario.
Delocalizzazione,
general use, piano di riordino, la crisi perennemente in agguato: quando le
parole nascondono la presa in giro.
Traduzione: cassa
integrazione – amaro calice già assaporato dai dipendenti – tagli,
impoverimento, anticamera della chiusura. Intanto, vengono investite ingenti
somme in altre zone del mondo (vedasi Tatabanya, Ungheria).
La sorte appare inesorabilmente segnata.
Questa è la verità.
Noi, dal basso della nostra ignoranza, non
possiamo che dire questo.
Cari (ma fino ad un certo
punto) manager giapponesi, cari politici locali e non, di qualsivoglia
schieramento, poche manfrine, salvate la Bridgestone Bari.
Anche un solo operaio – al quale corrisponde sempre una famiglia, vite da
salvaguardare nella maniera più assoluta che hanno bisogno di un domani, è bene
rammentarlo sempre – che dovesse perdere il proprio posto di lavoro, sarebbe
una sconfitta per tutti.
Perché, purtroppo, non vorremmo che si trattasse di un caso pilota che fungesse
da apripista a tutta una serie di serrate, che farebbero crollare mestamente e
irreversibilmente il nostro tessuto socio-economico…