È stato come se la folla, composta e silenziosa, che gremiva la Basilica dei Santi Medici e che ha dato l’ultimo saluto a Pina Marrone, architetto e professoressa, avesse già imparato la di lei mirabile lezione di vita.
Già, mitezza e garbo, ma pure temperamento e rigore, hanno sempre improntato il suo essere, profondamente e discretamente, nel suo transito ricco di tutto su questa terra.
“La luce della stanza dell’Hospice si è spenta per accendersi quella eterna della stanza celeste di Dio (dove le avrà dato il benvenuto il saggio, ironico Peppino, suocero del cognato Silvano?, ci chiediamo noi)”, ha detto don Gerri Zaccaro, parroco di Cristo Re, nella puntuale, convincente omelia.
Il marito Alessandro ha raccontato, con infinita dignità ed inscalfito amore, la sua esistenza accanto alla consorte e soprattutto gli ultimi anni di calvario: ““Farei qualsiasi cosa per poter restare più tempo con i miei figli”. Questo tuo desiderio era diventato ormai un mantra che ripetevi ogni volta a qualsiasi conoscente che varcava la nostra porta di casa e noi abbiamo fatto di tutto affinché tutto questo potesse avverarsi. Pian piano, ci siamo accorti dei tesori che questa situazione ci ha nascosto. Ci eravamo impegnati a essere per te le tue gambe, i tuoi occhi, e nell’ultimo periodo anche le tue braccia e le tue mani per lavarti, pettinarti, vestirti, portare il cibo alla bocca; questo ben presto ha creato tra noi e te, un’intimità che non avevamo mai vissuto prima”.
Molti ascoltavano e col dorso della mano astergevano una calda lacrima dalle gote tristi…
“Negli ultimi mesi ogni qualvolta – e potevano essere decine in una giornata – che tu ci chiedevi di spostarti dal letto o dalla poltrona alla sedia e viceversa era un abbraccio stretto, e qualche volta ci fermavamo abbracciati così forte, tanto da sussurrarci nell’orecchio vecchi ricordi di gioventù. Ma l’intimità maggiore era quella delle sveglie notturne per una delle tante tue necessità, anche solo per aiutarti a cambiare posizione nel letto: accadeva che non ci riaddormentassimo subito, ma restassimo a lungo a chiacchierare tutti quanti nel letto parlando sottovoce di tutto quello che più ci stava a cuore, dai problemi dei figli a quello che sarebbe stato ….dopo di te”.
Forse, la sofferenza, solo se condivisa, può alleviarsi un po’…
“E quanti viaggi della speranza abbiamo affrontato insieme, di giorno e di notte, combattendo contro il tempo sacrificando la nostra famiglia, i nostri cari e i nostri figli (ormai diventati prematuri in età adolescenziale), per sentirsi dire: Giuseppina anche questa volta va tutto bene!”.
“E, a differenza di quel che accade di notte – perché di notte non si riesce a parlare della morte – solo al sorgere del sole riuscivamo a parlare serenamente del tempo che ci era lasciato da vivere insieme e di quello che sarebbe seguito, nel quale tu non saresti stata più qui, ma che provavi ad immaginare con noi, così in qualche modo lasciando in esso un segno della tua presenza. È stato forse il periodo più ricco e intenso di tutto il nostro stare insieme, che pure, nell’arco dei quasi quarant’anni della sua durata, è stato straordinariamente ricco di vita e di lavoro comune. Così quella regola del cercare il bene nascosto in tutte le pieghe della vita, che in questo nostro ultimo caso pareva subire una evidente eccezione, o pareva addirittura non poter essere menzionata senza assumere il significato di un’irrisione alla sofferenza, si è invece rivelata ancora una volta tangibilmente vera. Se ci è consentito utilizzare una parola grossa, la “fede” in quel bene nascosto si è rivelata non solo frutto di speranza, non solo immaginazione di una consolazione promessa altrove, ma conoscenza – nel senso più profondo del termine – di qualche cosa di molto concretamente tangibile“. E gli applausi, scroscianti e sinceri, erano un modo per riconoscere tanta grandezza d’animo.
Gli splendidi figli, Fabrizio e Silvia, hanno abbracciato con amorose parole la loro meravigliosa madre, autentico pilastro della famiglia, una donna “pura, semplice e vera” che non faceva mancare mai un sorriso, una parola di conforto, una vicinanza dolce a chi era fragile, i nipoti hanno espresso tutta la loro gratitudine nei confronti di quella zia emblema vivente di cura e rispetto, ed emozionanti sono state le parole del fratello Vincenzo, commosso non meno che ammirato di quella sorella stupenda, figlia a sua volta di genitori esemplari, per la quale bisognerà portare a termine il progetto avviato quaggiù. Che potrebbe anche essere fondare una associazione che soccorra le persone con problemi di salute e in difficoltà per disparità socioeconomiche.
E così, quando anche l’ultimo conto ha accompagnato il feretro di Pina attraverso la navata centrale dell’immensa chiesa, quelle note rintoccavano all’unisono col battito del cuore pur affranto di tutti i presenti, che a lei erano legati da grande affetto, e con l’eco dei ricordi, belli e irripetibili, che nessuno potrà mai cancellare…