Cos’è la bellezza? Un equilibrio tranquillizzante? Una pazzia molto interessante? Un tempo rovesciato cui non sempre i giri di parole corrispondono? La cosa giusta anche quando appare sbagliata?
Per noi che siamo briciole d’esistenza la bellezza non può che apparire il trovarsi a due passi dallo stupore.
Lo stupore della meraviglia e dell’imperfezione, quello che non ha bisogno di negoziati, che sradica le fondamenta di ogni certezza, che impensierisce e redime, che salva e condanna.
Lo stupore di una sofferta, speciale diversità. Perché quello che possiamo davvero scegliere è vivere ciò che ci accade come un radioso incontro in cui un po’ si sbatte contro i muri e un po’ ci si toglie il respiro, un po’ ci si sistema il bavero per apparire più giusti nello specchio e un po’ ci si nutre del ritorno di un’immagine che fa paura.
È come un soffermarsi sull’ascensore del silenzio per rincorrere se stessi senza far rumore sfumando il buio che scende a nebbia nei giorni, la preoccupazione di un pregiudizio malcelato.
È come uno sfidare il mondo all’incontrario sì da far sparire il fremito del dubbio, nascosto come convinzione.
Il problema non sono i gomiti screpolati, gli occhi a mandorla, le parole soffiate e masticate.
Il problema non sono neppure le gambe che faticano a compiere passi, le mani che disegnano piroette strambe, i tempi fuori tempo. No! Il problema è la leggerezza dello sguardo che come una goccia in un oceano di bene spalanca orizzonti.
Nel libro “Mio fratello rincorre i dinosauri” di Giacomo Mazzariol Gio, alias Giovanni, rovescia tutte le prospettive e, se balla in mezzo alla piazza, è uno che fa ballare le piazze in quei venti minuti (sempre venti minuti!) che sono vita senza inverno e senza foglie secche.
Gio è un bambino speciale atteso dal fratellino Giacomo come un eroe che ha i superpoteri, uno che sa volare, che è velocissimo, che ha i bicipiti di un culturista e che nel pericolo, zac, porta in salvo chi ha bisogno di lui.
Poi nasce e ha gli occhi venusiani, la nuca piatta come una pista di atterraggio per microscopiche navicelle spaziali e i piedi un cui pondulo e minolo sono fusi insieme.
Quando gli angeli cadono sulla terra, magari nascondono le ali sotto un cappotto di lana per non mostrare la loro diversità.
Sì, ma un vantaggio deve esserci, no?
E se si parla in cino-giappo-coreano e si strappano sorrisi, che problema c’è?
Tentare di comunicare è iniziare a scoprire.
-Cosa vuol dire down?
Cos’è una malattia, un difetto, un parlare in modo un po’ strano, un treno che ha bisogno di binari tutti suoi?
È l’inizio di un percorso a scuola con Rana la rana fino alle medie. È un dialogo ininterrotto con dinosauri di ogni tipo, talmente belli da assorbire l’attenzione tutto il tempo durante un pranzo con parenti lontani.
Gio è il dissidio dell’anima quando si comincia a crescere e non è figo dire agli altri di avere un fratello speciale, è il tormento delle notti, è il rimorso di non saperlo proteggere, è la minaccia a Pisone di non dir nulla a nessuno, altrimenti…
Ma quand’è che si vince la battaglia e ci si libera?
Quando Chiara al campeggio dice di lasciarlo fare sul palco davanti a un pubblico di tedeschi e pochi italiani, quando si può raccontare inventando di abitare in Groenlandia e di bere latte di renna, quando con un paio di cuffie la musica comincia a cambiare e torna l’armonia senza stridere.
Accade che Gio suoni con Brune e Scar arrampicandosi sulle ginocchia e faccia ridere di pancia. Perché fuori ritmo è felicità e la musica elimina le differenze.
Balla Gio, ballano i pupazzi, si smeriglia il labirinto e si guarisce quando Matteo racconta di ringraziare Dio perché si piace, perché è diverso da quelli che lo offendono: lui ha un cromosoma in più, gli altri sono nati senza cuore.
Lontano dalla confusione ci si avvicina e Spack Frush Snap significa tante cose: mani che scivolano, pollice e medio che schioccano, una complicità che si rinsalda, fino a far sorridere Arianna il cui profumo è per Giacomo una sinestesia.
Il mondo può raccontare mille storie, elaborare teorie ma è l’esperienza dello stare accanto che scivola dentro come una bella canzone.
I ricordi sono attimi, ragguagli di luce, manovelle che scavano pellicole dentro confermando l’emozione.
Non c’è una parte da recitare, ma giocare a fare i buffoni va bene! Questo lo sa anche Nonno Alfredo che è morto presto e Gio non l’ha potuto conoscere bene.
Ci si può abbracciare come fanno i dinosauri, si può vivere nel mesozoico sperando che la vita non passi porti via gli affetti.
Non è il caso di fotocopiarsi il cuore, ma di radunare lembi di bianco e accenderlo tutto insieme.
Con o senza cornici, con o senza errori, nella spontaneità di un giorno che irradi la speranza smanetti felicità.