Chi
è lo straniero? Un ospite, un invasore o semplicemente un cittadino? Una
questione che gli italiani si pongono spesso, da quando la nostra penisola,
storica terra d’emigrazione, è diventata terra d’immigrazione.
Alla domanda si è cercato di dare risposta durante gli eventi organizzati per la Giornata dei Giusti,
organizzata della European Language of School, e conclusa sabato con l’ultimo
appuntamento.
“Spesso gli stranieri vengono etichettati
come invasori. Ma quale popolo non è stato invasore nella propria storia? Non sono invasori, ma persone ferite e
umiliate da chi persegue intenti loschi” ha introdotto il giornalista Mario
Sicolo, ricordando come, sin dall’antichità, il valore dell’ospitalità fosse
sacro.
Presenti all’incontro anche i due agenti della polizia di frontiera Giovanni
Casavola e Sabino Loconsole, che hanno illustrato le attività svolte.
“Non abbiamo alcun arbitrio nel decidere
chi può entrare e chi può uscire” ha spiegato Casavola, dopo un lungo
excursus storico sul concetto di “asilo”.
“Il diritto di asilo non è altro che un
diritto dell’uomo, come ricorda la Dichiarazione Universaledei diritti dell’uomo – ha continuato l’ex commissario di Bitonto – Quando ci dichiariamo tolleranti, lo siamo
davvero o ci limitiamo a demandare ad altri l’accoglimento dello straniero?”.
“Il barcone carico di immigrati fa
notizia, ma esistono tantissime altre situazioni drammatiche, vissute da
persone che affrontano lunghissimi viaggi in condizioni disumane, pagati con i
risparmi di una vita” ha proseguito Loconsole, mostrando una serie di
fotografie scattate durante i quotidiani controlli al porto di Bari. Fotografie
raccapriccianti con persone nascoste i spazi ristrettissimi.
Ad arricchire la discussione, le testimonianze di due migranti, due persone che
hanno abbandonato la propria terra per arrivare in Italia. Il primo è il
libanese Nabil Salameh, componente del gruppo musicale dei Radiodervish.
“Appartengo ad un’altra tipologia di
migranti, quella composta da persone che hanno viaggiato per studiare
all’estero, con l’obiettivo di ritornare in patria” ha raccontato
l’artista, che da trenta anni vive in Italia e dal 2007 è cittadino italiano: “Sono stato molto fortunato perché ho trovato
sempre persone aperte, con spirito di accoglienza e un’opportunità di
inserimento nel tessuto sociale. Fino a che punto siamo disposti ad accogliere
l’altro? E’ una sfida molto difficile, perché presuppone la consapevolezza di
quel che avviene a livello internazionale. Da questo punto di vista l’Italia,
essendo stato un paese di partenze, è agevolata. Nessuno abbandona la propria
terra volentieri, affrontando viaggi disperati”.
E sul rapporto con l’arte: “Mi ha aiutato
molto. La musica presuppone l’ascolto degli altri. Inoltre, quando si è lontani
dalla terra natia si colgono molti aspetti della propria cultura che,
dall’interno, non si notano”.
La seconda testimonianza è stata quella di Manuchehr Moghimi, di madre
iraniana e padre afghano, ma che, non essendo riuscito ad ottenere nessuna
delle due cittadinanze, per vicissitudini legate alle legislazioni locali, è
rimasto apolide. Una condizione che gli ha procurato notevoli sofferenze, per
non aver potuto godere di molti diritti, tra cui quello allo studio. Non ebbe
modo di completare, infatti, gli studi in Iran per problemi burocratici.
Notevoli anche le umiliazioni inflitte dalla polizia, tra cui l’arresto suo e
del fratello minore.
“Diverse volte ho tentato il suicidio– ha raccontato – L’ultima volta sono
rimasto in coma per giorni. Al mio risveglio ho deciso di affrontare un lungo
viaggio per fuggire. Un viaggio attraverso Turchia e Grecia, durante il quale
ho visto molte persone morire”.
Ma, dopo tanta sofferenza, all’arrivo in Italia ecco il lieto fine. Qui infatti
è stato accolto ed è diventato interprete per la Polizia di Frontiera.
“Dopo tante umiliazioni non mi aspettavo
di ricevere questa opportunità. Di questo devo ringraziare Sabino Loconsole,
Giovanni Casavola e la polizia di frontiera” ha concluso Moghimi, prima di
lasciare il posto ad una breve esibizione musicale di Nabil Salameh e Michele Lobaccaro.