«Aldo Moro è stato ucciso anche dalle Brigate Rosse».
Ne è Gero Grassi, ex deputato e vicepresidente della commissione d’inchiesta sul caso Moro, ospite lunedì 18 marzo, di un incontro organizzato dalla sezione di Bitonto del Partito Socialista Italiano e dall’associazione NovaRes. A moderare l’incontro, il segretario cittadino del Psi Luca Matera.
Il coinvolgimento di altri è stato ribadito più volte, da parte di Grassi, in tanti anni di studio su quel delitto che, a 46 anni di distanza, presenta ancora punti mai chiariti. Moro non sarebbe stato ucciso solamente dei brigatisti, ma ci sarebbe stato il coinvolgimento di altri elementi il cui unico scopo era il mantenimento di quello status quo nato con gli accordi di Yalta del 1945, che avevano diviso l’Europa ed il mondo in due blocchi, uno a guida Usa e l’altro a guida Urss. Status quo che sarebbe stato scardinato dal compromesso storico che l’allora presidente del consiglio stava attuando insieme al leader del Partito Comunista Enrico Berlinguer.
Tesi per cui è stato pure più volte criticato e insultato dalla terrorista Barbara Balzerani, recentemente scomparsa, che fu una figura centrale nell’esecuzione di quel delitto.
«Questo non è – chiarisce Grassi rispondendo alle domande del direttore del Tg Norba, Enzo Magistà -, un’assoluzione delle Br. Nella parola “anche” è sintetizzato tutto il lavoro della commissione parlamentare d’inchiesta. Barbara Balzerani mi ha spesso insultato, rivendicando l’estraneità di altri alla vicenda Moro, cosa oggi ormai dimostrabile come falsa. C’erano Stati Uniti, Russia, Mossad, banda della Magliana, mafia, camorra, ‘ndrangheta, pezzi di politica, magistratura e servizi segreti nazionali, per una convergenza di interessi volti a mantenere lo status quo. Più che chiederci chi abbia ucciso Moro, dovremmo chiederci perchè».
Un mix di coinvolgimenti che fecero sì che, all’atto pratico, il destino di Moro fosse già segnato il 16 marzo del 1978, quando fu rapito in via Fani.
A dialogare con Grassi, Claudio Signorile, già ministro delle Repubblica e vicesegretario del Partito Socialista Italiano ai tempi del delitto Moro, che viaggiando tra le memorie personali ha ricordato lo sgomento di Craxi nell’apprendere l’epilogo tragico del rapimento.
Signorile ebbe, nell’aprile ’78, incontri con esponenti di gruppi di estrema sinistra (Franco Piperno e Lanfranco Pace) vicini alle Br e, con loro, avviò una trattativa per aprire un dialogo tra i brigatisti e il Psi. A suo dire Moro iniziò a morire quando si configurò il compromesso storico: «Le Br e tutto ciò che si presentò come antagonismo radicale si è dimostrato funzionale al mantenimento degli equilibri di Yalta».
Ad illustrare il pensiero dello statista di Maglie è il prof. Michele Indellicato, professore di Filosofia Morale e di Etica della Comunicazione all’Università di Bari, che ha ricordato l’etica che lo contraddistingueva, che lo portava ad opporsi, ad esempio, alla pena di morte, condanna senza misura: «Moro aveva uno sguardo profetico, perché riusciva ad analizzare il reale, la realtà storica, individuando una direzione da seguire».