Negli ultimi due giorni, il mio cellulare ha registrato un exploit di messaggi di angoscia inviati da parenti e amici.
La domanda è pressoché sempre la stessa: “Come stai? Com’è la situazione in Belgio?”.
Senza dubbio, l’attacco terroristico e assassino a Parigi è stato come un sasso gettato in uno specchio d’acqua.
Gli effetti si sono immediatamente propagati dalla capitale francese ai Paesi più prossimi e, probabilmente, da ora in poi il centro Europa non sarà più lo stesso.
Il giorno successivo alla tragedia, in Belgio ci siamo svegliati con una serie di evidenti misure di sicurezza e controlli più restrittivi. Sono state subito predisposte una maggiore presenza di forze di polizia in tutti i luoghi più frequentati e ispezioni a tappeto di tutti i mezzi in transito da e verso la frontiera con la Francia (frontiera che fino ad ora era pressoché inesistente).
Per di più, il primo ministro belga Charles Michel ha intimato di non recarsi a Parigi in questi giorni se non per motivazioni improrogabili.
A far inasprire i controlli è stata la testimonianza di alcuni uomini coinvolti nell’attentato, secondo cui uno dei veicoli utilizzati dai terroristi sarebbe una Seat nera immatricolata in Belgio.
A tal proposito, il Ministero dell’Interno ha aperto un’inchiesta e pare che nella vettura abbiano anche ritrovato due biglietti di un parcheggio di Molenbeek (città della regione Bruxelles-Capitale).
Così, anche se per strada tutto sembra tranquillo, lo shock e la paura sono visibilmente dipinti sui volti delle persone.
Nessuno fa riferimento al dramma francese, quasi a voler cicatrizzare la ferita il prima possibile, ma il ricordo dell’attentato alla sinagoga di Bruxelles è ancora vivido e risale appena allo scorso gennaio il blitz a Venviers (in provincia di Liegi), quando le forze di polizia riuscirono a neutralizzare una cellula di jihadisti pronta ad agire.
Tra l’altro, non mancano cittadini fortemente convinti che si trovi proprio qui -in questo piccolo stato federale- la base logistica dell’Isis e non facilita le cose la presenza di una consistente comunità islamica, seppur bene integrata: in queste ore ci si rispetta, ma ci si osserva con maggiore circospezione.
Una situazione analoga si registra in Olanda (a 30 minuti dal luogo in cui mi trovo ora): è allerta alle frontiere e nelle stazioni ferroviarie e aeroportuali, dove sono state adottate misure di sicurezza supplementari.
Unanime è, però, l’invito del primo ministro belga Michel e il primo ministro olandese Rutte: “Non lasciamoci vincere dalla paura e continuiamo col nostro stile di vita. Insieme siamo forti”.