«Ci siamo. Oggi viene ufficialmente consegnata l’ area della discarica Ecoambiente srl, sita in Contrada Torre d’Agera, territorio della nostra città, la cui localizzazione fu autorizzata dal Consiglio Comunale di Bitonto nel 1991, alla ditta Trivelsonda srl di Squinzano (Le), che effettuerà le indagini geofisiche, geognostiche e le analisi di laboratorio finalizzate all’esecuzione del piano di caratterizzazione ambientale, propedeutiche alla bonifica che dovrà essere effettuata nel caso in cui si dovesse rinvenire l’inquinamento della falda».
Scrive così l’assessore all’Ambiente Giuseppe Santoruvo, per annunciare l’affidamento alla ditta salentina dell’intera area della discarica Ecoambiente, in contrada Torre d’Agera, nella zona artigianale. Ultima puntata di una vicenda che ebbe inizio più di 30 anni fa. Nel 1991, per la precisione. L’anno in cui il consiglio comunale autorizzò la localizzazione della discarica.
Per comprendere meglio la questione, però, è necessario tornare ancora indietro nel tempo. Fermiamoci, al luglio 1987, quando il fondatore del Da Bitonto Franco Amendolagine, sulle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno, riportava la notizia di una «discarica controllata» che «avrà una capacità di assorbimento di circa 22mila tonnellate l’anno».
L’area, di 34.112 metri quadrati, fu scelta perché «considerata ottimale anche nella possibile ipotesi che altri abitati limitrofi come Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e Santo Spirito possano essere interessati al conferimento dei propri rifiuti solidi urbani nella cava, in quanto raggiungibile direttamente senza attraversare centri abitati».
L’Amsv (Azienda Municipalizzata Servizi Vari), tramite appalto – concorso, affidò alla ditta locale Ecoambiente srl la realizzazione.
La discarica, per il giornalista, avrebbe offerto alla città un servizio moderno ed efficiente, risolvendo un importante problema di natura ecologico-ambientale, quello dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani in territorio comunale. Fu la prima ad essere attivata in provincia di Bari e tra le prime in Puglia.
L’attivazione avvenne in tempi molto rapidi, sei mesi, e il 1 settembre dell’87 era già in funzione.
Ma una nuova sensibilità al tema dei rifiuti si faceva sempre più largo e la necessità di abbandonare la tradizionale raccolta rifiuti era sempre più avvertita. Scriveva così Lello Parise sempre sulla Gazzetta, il 27 agosto 1988: «Cosa succederà quando anche questo “buco” sarà colmo? Il Comune crede di aver risolto il problema dei rifiuti da smaltire. Invece, ha solo rinviato nel tempo la soluzione. Perché prima o poi dovrà trovare altre discariche. È come il cane che si morde la cosa. […] Di qui l’esigenza di accelerare la “politica del recupero”».
Parise denunciava la mancata programmazione in tema di smaltimento rifiuti, non solo da parte dei comuni di Bari e di Bitonto, ma della Regione Puglia, tutti accusati di considerare l’immondizia «come qualcosa di cui disfarsi al più presto».
Facciamo un lieve salto temporale in avanti di qualche anno e andiamo al 1991. Quella che doveva essere la soluzione al problema dello smaltimento dei rifiuti era diventata una discarica in esaurimento «utilizzata già da troppo tempo, tanto che le tonnellate quotidiane di rifiuti l’hanno riempita al punto che non c’è quasi più posto: tra cinque mesi al massimo non sarà più utilizzabile». Ad annunciarlo fu Nicola Fragrassi, sulla Gazzetta del 6 aprile 1991, chiedendosi dove sarebbe stata smaltita, in futuro, la “monnezza” di Bitonto. Interrogativo che già da tempo si stavano ponendo gli amministratori, alle prese con la scadenza, nel novembre 1990, della convenzione con la Ecoambiente. E così, di fronte al timore di chiedere ospitalità ad altri comuni, cosa che «di questi tempi non è affatto consigliabile», secondo il sindaco Michele Coletti, si propose non solo di rinnovare la convenzione, ma anche di individuare il sito per una nuova discarica da 350 tonnellate al giorno. Sito che venne individuato sempre lì, in contrada Torre d’Agera, che apparve ideale anche per una seconda cava.
Fu sempre la Ecoambiente a spuntarla sui due concorrenti, le imprese Persia e Mazzitelli, con proposte ritenute vantaggiose, come evidenziò Coletti: «Innanzitutto il costo è inesistente e poi la ditta ci viene incontro realizzando, oltre alla nuova discarica, anche una per i rifiuti inerti e per quelli destinati alla rottamazione. Ma non basta: la convenzione prevede anche la pulizia del nostro territorio dal materiale derivante dai lavori in edilizia».
Una piaga, quest’ultima, che affligge Bitonto da tempo, come già all’epoca aveva sottolineato il primo cittadino, denunciando in particolar modo l’abbandono di questa tipologia di rifiuti lungo il letto del Tiflis.
Ma questa volta, di fronte alla possibilità di una seconda discarica a Torre d’Agera, insorsero gli ambientalisti del circolo Mendes della Lega per l’Ambiente, con una nota a firma di Gaetano Lauta, Nicola Colapinto e Silvio Vacca: «Quella cava è vicina al centro abitato, all’autostrada, alla provinciale per Giovinazzo, alla nostra attuale discarica. Per non parlare, poi, della possibilità, non tanto remota, di inquinamento dei campi che circondano la zona. E scusate se è poco. Alla fine saremo sommersi dai rifiuti».
La convenzione, comunque, si fece nonostante le obiezioni ambientaliste, permettendo all’amministrazione di non aumentare la tassa comunale sullo smaltimento dell’immondizia.
Ma la battaglia tra favorevoli e contrari continuò nella massima assise comunale. Giungiamo, quindi, al 20 dicembre 1991, data della seduta del consiglio comunale dedicata al tema. Un passaggio nel massimo consesso cittadino necessario in mancanza di un piano regionale delle discariche, per determinare localizzazione e rilascio della concessione edilizia.
Oggetto della deliberazione era il “Progetto di discarica controllata di prima categoria per rifiuti solidi urbani e di seconda categoria per rifiuti inerti in agro di Bitonto, località Torre d’Agera – Parere sulla localizzazione”.
La giunta puntava verso l’approvazione, basandosi su valutazioni tecniche, prima ancora che politiche. Valutazioni positive, espresse dal Comitato Tecnico Provinciale e dalle autorità sanitarie che sancivano la compatibilità dell’area con la discarica. E sottolineando l’assenza di particolari vincoli urbanistici nel Prg.
A motivare l’orientamento dell’amministrazione Coletti, l’assessore all’Urbanistica Nicola Pice: «Il progetto si avvale di una relazione espressa in termini di approvazione favorevole del progetto da parte del servizio di igiene pubblica, controfirmata dal capo servizio dottor Pignataro, il quale dice espressamente che il progetto risponde accuratamente alle prescrizioni dell’art.10 del Dpr 915 e della deliberazione del comitato interministeriale del 27 luglio 1984, nonché ai vari problemi di igiene, sicurezza».
Si sottolinea, inoltre, la distanza di quattro km dall’abitato di Bitonto e di 200 km dalla provinciale Bitonto – Giovinazzo e dall’autostrada A14 e la quasi totale assenza di residenze stabilmente occupate: «Quanto al rilievo e alla idrografia, l’analisi evidenzia che sono assenti segni di idrografia superficiale ed uniche forme riscontrabili sono solo alcuni solchi erosivi del tipo lame».
Si evidenzia come l’area avesse un traffico molto limitato e fosse già abbastanza frequentata da autobotti adibite allo spurgo di pozzi neri. Senza contare del fatto che la zona fosse già abbastanza degradata dagli sversamenti in discariche abusive di liquami e fanghi dall’origine ignota. Fenomeno di cui si stava già occupando la magistratura e la stampa (ne parlò la Gazzetta del Mezzogiorno il 18 gennaio 1990).
Quindi, da parte dell’assessore Pice, l’invito a non farsi prendere dalla sindrome Nimby, «che preferisce lo smaltimento dei rifiuti sempre nel giardino dei vicini» e non nella propria area.
Il vicesindaco Giovanni Procacci sostenne l’inesistenza di soluzioni alternative, vista l’assenza di un piano regionale. Favorevole anche il consigliere socialista Nicola Tarantino che, annunciando il voto favorevole, auspicò tuttavia altre soluzioni per superare l’emergenza continua e per evitare di arrivare «nel 2005, 2010, 2030 e ogni 5 anni ad affrontare il problema».
A portare avanti le istanze ambientaliste Pds e Verdi. Acceso fu lo scontro che vide contrapposti i consiglieri del Pds Giuseppe Parisi, Vito Antonio Delvino, Nicola Loragno, Angelo Domenico Colasanto, il verde Marco Vacca e gli altri consiglieri di opposizione, alla maggioranza composta da socialisti e democristiani.
La minoranza denunciava i pericoli ambientali connessi all’ubicazione della discarica, sita ad una distanza che, considerando l’intera estensione, era nettamente inferiore a quella dichiarata dai proponenti. Si paventava il rischio di “bomba ecologica” (Vito Antonio Delvino, Pds) e si temeva che la città diventasse una “pattumiera della Puglia” (Giuseppe Parisi, Pds). Mentre il consigliere dei Verdi Vacca espresse dissenso per una localizzazione imposta dall’alto dalla Provincia di Bari.
Al momento della votazione, dei 40 consiglieri comunali, i presenti erano 27. I voti favorevoli furono 21 e vennero dal sindaco Coletti e dai consiglieri di Partito Socialista (Francesco Natilla, Francesco Matera, Francesco Dimundo, Nicola Tarantino, Raffaele Gasparre, Gennaro Sicolo, Salvatore Zanga, Antonio Sblendorio, Domenico Rinaldi, Saverio Granieri, Domenico Depalo e Vincenzo Monte) e Democrazia Cristiana (Giovanni Procacci, Nicola Pice, Cosimo Coviello, Gaetano Brattoli, Vincenzo Gesualdo, Francesco Paolo Palermo, Gaetano Frascella, Giovanni Toscano, Michele Muschitiello), le forze di governo. Sei, invece, quelli contrari provenienti da Partito dei Democratici di Sinistra (Giuseppe Rossiello, Nicola Loragno, Nicola Antuofermo, Vito Antonio Delvino, Giuseppe Parisi) e Verdi (Marco Vacca). Assenti i consiglieri di Pri (Gaetano Granieri) e Psdi (Vincenzo Fiore e Lorenzo Iuso).
Passano gli anni, la discarica entra in funzione e, con il tempo, le preoccupazioni degli scettici si rivelano fondate. Già nel 2008, la discarica fu sottoposta a sequestro dai carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico, perché la falda acquifera era gravemente inquinata. Nel marzo 2009 la procura della Repubblica ne revocò l’uso chiedendo iniziative celeri per il ripristino ambientale dell’area. Ripristino mai avvenuto, nonostante relazioni e sopralluoghi dell’Agenzia Regionale Protezione Ambientale (Arpa) e dall’Università di Bari, abbiano stabilito la perdita di percolato e la presenza nelle acque sottostanti di ferro, manganese, arsenico, nichel, cromo esavalente e vanadio, tutti elementi potenzialmente cancerogeni.
«Si invita il sindaco del Comune di Bitonto (che nel frattempo era diventato Raffaele Valla, ndr) a valutare se occorra adottare misure per la salvaguardia della salute, vietando il prelievo di acqua dai pozzi» fu l’invito del pm Bretone, rivolto anche ai presidenti di Regione e Provincia, ai sindaci di Bari e Modugno, al manager della Ausl e all’imprenditore Matarrese, proprietario della Ecoambiente: «La falda risulta già gravemente inquinata, per cui occorre procedere al più presto all’adozione delle misure volte alla prevenzione e al ripristino ambientale».
«La notizia non arriva inattesa – commentò Valla, che emanò una disposizione d’urgenza per la chiusura di tutti i pozzi di Torre d’Agera – perché la costante ricognizione delle falde della zona della discarica, già avviata dalla passata amministrazione (Nicola Pice, ndr) è sempre stata alla nostra attenzione. I nostri uffici hanno sollecitato più volte l’Arpa per realizzare tutti gli accertamenti tecnici del caso».
«L’impianto è in regola, ma sono disposto a chiuderlo» fu la risposta data da Salvatore Matarrese alla Gazzetta del Mezzogiorno il 5 marzo 2009.
Passano nove anni senza notizie ulteriori sostanziali, fino al 2018. Siamo nella seconda giunta guidata da Michele Abbaticchio. Palazzo Gentile riesce a strappare un finanziamento regionale di 370mila euro per effettuare il fondamentale Piano di caratterizzazione ambientale, utile, tra le altre cose, per verificare l’esistenza di inquinanti nel suolo, sottosuolo e acque sotterranee nonché l’estensione volumetrica dell’inquinamento.
Torniamo dunque al giorno d’oggi. Alla notizia annunciata dall’assessore Santoruvo. Dopo tre tentativi andati a vuoto, l’intera area della discarica è stata consegnata alla Trivelsonda srl, che adesso effettuerà tutte quelle indagini geofisiche, geognostiche e le analisi di laboratorio propedeutiche alla eventuale bonifica che dovrà essere effettuata nel caso in cui si dovesse rinvenire l’inquinamento della falda. Indagini che dovrebbero durare quattro mesi.